Andrea Mariani | (Un)Dead Media Project
Cinema, storia, media
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[appunti di ricerca] Televisione portatile TV 470 CASIO

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Riccardo Pappada

PARTE 1

 

OGGETTO:

Televisione portatile – modello TV 470 – marca CASIO – commercializzato tra il 1985 e il 1987 dal Giappone in tutto il mondo.

Il dispositivo è stato commercializzato sprovvisto di batterie o alimentatore di alcun tipo. All’interno della sua confezione, viene dotato di un astuccio protettivo in plastica e da un panno in micro fibra per la pulizia dello schermo. 

Il dispositivo presenta un display cristalli liquidi a colori (1), 3 pulsanti per il tuning dei canali (2) e uno speaker mono sul lato frontale (3) Lo speaker audio, è del tutto isolabile nel momento in cui si utilizza un dispositivo auricolare con jack 3.5mm (tutt’ora compatibile con gli odierni auricolari).

La parte frontale della televisione, appena sotto lo schermo, presenta delle sigle: VHF (4) e UHF (5). Cosa significano? VHF è un acronimo di very high frequency, ossia le radiofrequenze radio comprese tra i 30 e i 300MHz. La banda compresa tra gli 88 e i 108 Mhz è riservata alla trasmissione radiofonica in FM. La VHF è utilizzata per comunicazioni brevi ma con ottima qualità e nitidezza di segnale. UHF è invece l’acronimo di ultra high frequency, che invece sfrutta le radiofrequenze comprese tra i 300 Mhz e i 3 Ghz. La stragrande maggioranza dei canali TV sfruttava la UHF, così come anche le reti mobili dei cellulari, le reti WiFi e i forni microonde domestici. Il segnale televisivo terrestre in Europa occidentale sfruttava le frequenze da 471,25 Mhz a 860 Mhz, utilizzando canali dal 21 al 69. Il dispositivo analizzato presenta 6 possibilità di ricezione di canale: 21,30,40,50,60 e 69.

Questi dettagli rivelano un’informazione importante e non immediata: il dispositivo era utilizzabile sia come radio che come televisore. Dal momento che il segnale radio non ha subito, a differenza di quello televisivo, un passaggio dall’analogico al digitale, questo testimonia che il dispositivo è ancora fruibile per la sua funzione di radio ricevitore. 

Lateralmente, a destra, presenta un selettore (6) a 3 livelli: “spento, VHF e UHF”, un foro per alimentazione a corrente continua 6V (7) e due regolatori analogici per volume e contrasto (8). 

A sinistra, invece, l’oggetto presenta un regolatore per il colore dei cristalli (9) e un’antenna telescopica (10). Questo tipo di antenna venne introdotta dall’azienda tedesca Kathrein nel 1938. Inizialmente, il supplemento era stato pensato unicamente per le automobili, ma ben presto avrebbe preso piede in molti altri settori tecnologici.

Il dispositivo, a oggi, non è più fruibile completamente, nonostante sia ancora accendibile. Il motivo sta nel tipo di sintonizzazione ormai obsoleto. Dal 2006, la modalità di ricezione-trasmissione del segnale terrestre è passata dall’analogico al digitale. Perciò, dal 2006, questo dispositivo non è più in grado di ricevere il segnale terrestre da parte delle emittenti principali col solo ausilio di un’antenna. Sulla sinistra è anche presente un foro jack da 3,5mm per l’ingresso auricolare (11).  

Il retro del dispositivo presenta un vano per batterie (12), un piedistallo estraibile in plastica (adattabile per essere praticato sulla cintura) (13) e due targhette identificative: sulla prima (14), viene indicato il nome del modello con la dicitura finale “I”, che ne testimonia la commercializzazione per la ricezione terrestre italiana. Dal libretto d’uso e manutenzione del dispositivo, si identifica un dettaglio importante non specificato sulla scocca della televisione: sul lato alto, è presente quello che appare come un pulsante bloccato. Il manuale specifica che su quello stesso lato, per tutti i modelli escluse le versioni “I” e “N” (per la ricezione tedesca), è presente un foro per il plug-in di un’antenna esterna, ideale per una ricezione con segnale più potente.

Viene anche dichiarato il numero seriale. Sulla seconda targhetta (15) viene dichiarata la data di rilascio e commercializzazione: una prima edizione, uscita il 25/6/1985 e una seconda uscita il 27/8/1987.

LINK UTILI:

https://www.radiomuseum.org/r/casio_pocket_television_tv_470.html

qui un link del sito radio museum dove viene descritto il modello in versione internazionale; rispetto alla versione italiana, questa è sintonizzata su uno standard PAL B/G/H.

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http://www.arrivaprima.it/2012/08/22/vhf-e-uhf-2/

qui un link del sito arriva prima.it; sul sito viene spiegata la differenza tra VHF e UHF.

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https://www.kijiji.it/annunci/audio-tv-e-video/roma-annunci-roma/tv-portatile-casio/107833495

annuncio di vendita del modello CASIO TV770, che differisce dal modello 470 per un display grande 0,1 pollici in più e una colorazione grigio chiaro.

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http://www.kathreinitalia.it/it/storia/13

sito dell’azienda Kathrein dove viene spiegata la storia dell’antenna.

PARTE 2

USI, TARGET DI VENDITA E SITUAZIONI DI UTILIZZO:

La CASIO è stata storicamente la maggior produttrice di televisioni portatili fino all’inizio degli anni 2000, mentre per quanto riguarda le TV da “camera” non si trovano testimonianze dal web di prodotti lanciati sul mercato dall’azienda. Inoltre, la quantità di modelli prodotti in più di vent’anni è notevole e i vari upgrade di anno in anno testimoniano la rapida evoluzione della tecnologia per questi dispositivi.  Concentrandosi quindi solo sui modelli portatili di TV, la CASIO produce modelli come quello analizzato, il TV470, destinandolo a un utilizzo prettamente “per esterni”. Negli anni ’80, la TV da camera era già un elettrodomestico piuttosto diffuso nelle case degli italiani, perciò è ipotizzabile che la commercializzazione delle TV portatili fosse riservata a un’utenza soggetta a frequenti spostamenti (difatti, oggi le TV portatili sono ancora prodotte col nuovo sistema di ricezione, ma come plug-in per automobili), così come poi, in seguito, altri dispositivi divenuti “handled” (portatili, utilizzabili a mano), come consoles e telefoni, avevano un target di utilizzo indirizzato sul “fuori casa”, venendo dotati di alimentazione a batteria completamente autonoma. 

Lo stesso motivo dell’acquisto di questo particolare dispositivo, in un media store nel 1989, risiede in una fruizione dei contenuti televisivi durante lunghi spostamenti in auto (cui l’acquirente, per lavoro, era spesso soggetto). 

Un ipotetico abbandono di questi dispositivi da parte dell’utenza (cosa che può aver portato l’azienda a interrompere la produzione dagli anni 2000) ancora prima dell’avvento del sistema digitale potrebbe risiedere nel graduale aumento dei polliciaggi di cui gli schermi delle TV fisse erano testimoni. Sebbene i modelli pocket della CASIO avessero raggiunto anche 2.2” di display alla loro settima edizione (si conti che veniva fatta uscire un’edizione ogni due o tre anni), purtroppo l’evoluzione delle proporzioni involucro-display era di gran lunga troppo lenta per stare al passo con le sorelle maggiori, ormai elemento dominante nei soggiorni di quasi ogni abitazione. 

Nel fotogramma qui presentato, tratto da un raro spot televisivo della CASIO, si osserva come il soggetto coinvolto utilizzi il dispositivo all’esterno, seduto in giardino. (Figura 1)

Figura 1

Il modello commercializzato nello spot veniva anche dotato di un piccolo pannello anti sole estraibile in situazioni dove il contrasto dell’immagine non fosse sufficiente per garantire una corretta visione dei contenuti.

Sempre dallo spot CASIO, si evidenzia il difficoltoso utilizzo di classiche televisioni in esterno per via del contrasto ostacolato dalla luce solare. Lo stesso spot enuncia “Until now, watching TV outdoors may battling the sun” (Fin’ora, guardare la TV “fuori dalla porta” poteva avere problemi col sole). (Figura 2)

Frammento immediatamente successivo, viene mostrata la soluzione al problema, un filtro a cristalli liquidi. (Figura 3)

Questa del filtro solare è un’interessante innovazione. Già nel 1988, Nintendo aveva lanciato sul mercato una console portatile famosa in tutto il mondo, il Game Boy. Questa dispositivo, per molti aspetti, è strettamente legato alle TV portatili. Entrambi infatti funzionano alimentati a batterie stilo, vengono utilizzato per lo più in esterno e presentano entrambi un display a cristalli liquidi. Cos’è che però, in questi stessi aspetti, li differenzia? Mentre negli anni ’90 CASIO dotava questi suoi modelli di un filtro anti sole (N.B. si intende il modello dello spot. Il modello 470 analizzato per il progetto non presentava ancora questo upgrade), Nintendo, solo col modello Color del Game Boy, aveva commercializzato, nello stesso periodo un plugin hardware (un filtro applicabile sullo schermo) per contrastare l’effetto della luce solare sul display, che ne abbassava drasticamente il contrasto bianco/nero. Nonostante questa nota di carattere commerciale, il Game Boy Color ha avuto una longevità ben più estesa di qualsiasi modello di TV portatile. 

In definitiva, si riassumono le tre ipotetiche cause dell’abbandono di questi dispositivi da parte di una larga fetta di pubblico:

  • Rapida evoluzione delle TV fisse: benché più ingombranti e costose, le TV da camera, dagli anni ’80 in poi, sono state (e sono tutt’oggi) testimoni di una veloce evoluzione delle proporzioni e delle dimensioni. Negli anni, con una rapidità sbalorditiva, gli schermi in vetro hanno assunto dimensioni sempre più grandi, mentre, intorno, la scocca del dispositivo si assottigliava. Non potendo stare al passo con questa evoluzione, le TV portatili hanno rapidamente perso di fascino come dispositivi alternativi alla visione di tali contenuti.
  • Utilizzo esterno sempre meno frequente: benché completamente funzionante, l’utilizzo in esterno delle TV portatili è calato drasticamente con il conseguente aumento di popolarità e di impatto positivo delle TV fisse.
  • Avvento del sistema digitale: Chi ha continuato a utilizzare TV portatili, dal 2006 si è trovato a dover sostituire i propri modelli acquistati negli anni ’80 o ’90, poiché in quell’anno il sistema di ricetrasmissione terrestre passa dall’analogico al digitale, cosa che ha investito anche l’utilizzo delle TV casalinghe. Quest’ultime, a differenza dei modelli tascabili, potevano essere implementate di un nuovo decoder digitale per ricevere nuovamente il segnale, cosa che per le TV portatili avrebbe portato alla totale involuzione dell’aspetto portabilità.

LINK:

Unico spot commerciale reperibile riguardante le pocket tv CASIO

[appunti di ricerca] Nokia 2760

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Myriam Murkovic



Valore affettivo altissimo, uno dei miei primi telefoni, definizione mio status.
Capire se l’oggetto risulti davvero interessante e offra spunti stimolanti

 

SPUNTI SU CUI LAVORARE:

 

Forma del telefono a conchiglia/ritorno della moda per questo tipo di telefono

compattezza maggiore rispetto nuovi telefoni

ora diventato telefono per anziani(più intuitivo)

Nokia (storia e importanza brand)

Telecamera 

evoluzione Modelli Nokia, posizione storia prodotto

provare ad aprirlo e vedere IMPOSTAZIONI

Manuale d’uso

> VEDI LINK

Informazioni prodotto con SCHEDA TECNICA

> VEDI LINK

 

Conclusione ricerca produzione oggetto

Numeri di serie: anno produzione-> annuncio uscita: maggio 2007/rilascio ufficiale 2007.

Tutt’ora prodotto e venduto, prezzo amazon:139 euro(!)

Contesto storico per l’azienda Nokia, anno 2007-2008 articolo di  

https://www.hwupgrade.it/news/telefonia/anno-2007-nokia-pagava-riscatto-multimilionario-per-salvare-symbian_52830.html

“Era la seconda metà degli anni 2000, quando Nokia padroneggiava il mercato degli smartphone e quello dei telefoni cellulari tradizionali, vendendo dispositivi storici come N95 ed E61i. In quegli anni, precisamente fra la fine del 2007 e i primi mesi del 2008, Nokia si sarebbe arresa ad un gruppo di ricattatori che minacciavano gravemente la sicurezza di Symbian, il sistema operativo allora leader del settore.

Il gruppo di “cybercriminali” aveva a disposizione del codice che avrebbe portato a una forte diffusione di malware all’interno dell’ecosistema. Una situazione difficile da gestire, che ha spinto il colosso finlandese a pagare “diversi milioni di euro”, per impedire la diffusione della minaccia.

I ricattatori, stando a quanto riportato da MTV Finlandia (che non ha nulla a che spartire con l’emittente televisiva internazionale), avevano ottenuto una chiave di cifratura (di pochi kilobyes) che avrebbe permesso a qualsiasi sviluppatore di firmare le proprie app Symbian. Attraverso la “firma digitale”, le app avrebbero ottenuto i permessi per accedere ad aree più profonde del sistema operativo.

Nokia non ha potuto che rispondere al ricatto, in quanto la diffusione della chiave avrebbe reso impossibile per la società verificare l’approvazione lecita delle nuove applicazioni. MTV Finland e Reuters hanno verificato l’attendibilità delle informazioni contattando le autorità finlandesi, tuttavia manca ancora una risposta ufficiale da parte del colosso finlandese.

Il denaro è stato consegnato nel parcheggio di un parco divertimenti con l’ausilio delle forze dell’ordine, avvisate dell’intera situazione. Tuttavia, in qualche modo i ricattatori sono riusciti a recuperare il riscatto e scappare indisturbati. Secondo le fonti, il caso è stato abbandonato rimanendo irrisolto: il pagamento del riscatto è stato sufficiente per schivare un grosso fallimento per il sistema operativo di Nokia, fallimento che era comunque dietro l’angolo con l’arrivo di iOS e Android.

PARE QUINDI CONTESTO DIFFICILE PER NOKIA-possibile rischio fallimento-falla sistema operativo -hacking

Interessante spunto, uscita prodotto coincide con grande difficoltà per l’azienda.

USI E PRATICHE OGGETTO:

FORUM: https://cellphoneforums.net/it/phone-database/Nokia_2760.html

 

IMMAGINI PUBBLICITARIE:

Pubblicità 1994

idea del cellulare come connettore di persone, slogan accattivante 

 

Pubblicità nokia stesso anno dell’uscita del 2760, 2007 :

Non riesco a trovare pubblicità mirate sul mio oggetto ma solo pubblicità generiche che pubblicizzano il marchio nokia in sé.

Ipotizzo che il motivo sia una volontà stessa dall’azienda che puntava a pubblicizzare il marchio che ogni anno faceva uscire moltissimi modelli diversi, o si concentrava sul modello più innovativo offerto.

TUTORIAL :

video spiegazione cellulare

video ragazzo russo che smonta

 

AMBIENTE SOCIALE E CULTURALE DI UTILIZZO:

Interessante sottolineare come il modello del nokia 2760 si passato dall’essere innovativo per l’epoca in cui è stato lanciato (vedi fotocamera e design oggetto) all’essere apprezzato da una fetta di pubblico più matura che, ora, ai nuovi smartphone predilige modelli come questo.

 

DA AMBITO GIOVANILE A MATURO

[appunti di ricerca] Game Boy Advance (GBA)

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Mattia Callegher

Oramai chiunque può affermare di essere per lo meno a conoscenza di che cosa sia un videogioco; molti possono anche dire di aver posseduto o possedere tuttora una qualche piattaforma, non per forza una console ma un computer o uno smartphone, che permette di svagarsi di tanto in tanto.

È nella seconda metà degli anni Settanta che il mondo videoludico ha iniziato a fare breccia tra mura domestiche, ma solo nel decennio successivo esso ha raggiunto una maggiore popolarità e crescere a stretto contatto con i videogiochi è divenuto sempre più comune per le nuove generazioni. Chi legge queste righe avrà quasi certamente un qualche bel ricordo a riguardo: riunirsi a casa di amici per giocare a qualcosa di nuovo, scambiare per telefono o in persona informazioni e segreti che qualcuno ha scoperto per caso o condividere con parenti e amici titoli difficili da reperire e che non tutti possedevano sono tra le molte cose tipiche dell’era antecedente alla diffusione di internet.

Ciò che analizzeremo è uno degli ultimi baluardi di quel mondo, una delle ultime console portatili completamente slegata dalla rete e priva di batterie ricaricabili, divenuta come tutti i suoi predecessori obsoleta: il Game Boy Advance (GBA).

Questo è il mio Game Boy Advance, un poco rovinato dall’uso, ma ancora perfettamente funzionante; ha qualche graffio sullo schermo e una piccola goccia di colla che per qualche motivo è finita lì e non è stata mai tolta, inoltre il pezzo che dovrebbe coprire le batterie non è integro e si stacca con estrema facilità. Rimane tuttavia in condizioni più che decenti per aver convissuto molti anni con un bambino.

Non ricordo quando io lo abbia ricevuto, credo nel 2002, ad un anno dalla sua uscita, ma so di averlo utilizzato a lungo, non è solo l’usura infatti a esserne testimone, ma anche i vari giochi che ho completato, almeno una decina.

Il 2007 è stato l’ultimo anno in cui l’ho utilizzato, allora un suo successore, il Nintendo DS Lite, prese il suo posto. Il GBA è rimasto all’interno di un mobile in casa mia, negletto, ma non dimenticato e protetto dalla polvere fino a poco tempo fa, quando lo ho riesumato per questo progetto.

PARTE 2

Il Game Boy Advance è stato lanciato da Nintendo nella prima metà del 2001 (21/03/2001 in Giappone, 11/06/2001 in Nord America e 21/06/2001 in Europa; in Cina uscirà soltanto molto più tardi, a metà 2004).

Fu il successore del Gameboy e il Gameboy Color; chiaramente più potente di entrambi arrivava a rivaleggiare in potenza con lo SNES (Super Nintendo Entertainment System), la home console di punta della Nintendo.

A seguire una tabella con alcune specifiche tecniche per i più avvezzi:

Game Boy Game Boy Color Game Boy Advance SNES
CPU e Velocità di Clock  Custom 8-bit Sharp LR35902 a 4.19 MHz 8-bit Sharp LR35902 a  4.194 o 8.388 MHz  (due modalità di processo) 32-bit ARM7TDMI a 16.8 MHz con memoria incorporata e Zilog Z80 8-bit a 8 o 4 MHz (per retrocompatibilità) Ricoh 5A22, basato su un  core 65c816 16-bit a 3.58, 2.68, e 1.79 MHz (effettivi, input a 21 MHz)
RAM S-RAM interna da 8kB (espandibile a 32 kB) 32 kB 32 kB + VRAM da 96 kB (interna alla CPU) e DRAM da 256 kB (esterna alla CPU) 128 kB
Risoluzione 160 × 144 160 × 144 240 × 160 256 × 224 (comunemente utilizzata)

512 × 448 (massima raggiungibile)

Palette Cromatica 2-bit, quattro sfumature di “grigio” (verde-nero) 15-bit RGB, 32768 colori, con a schermo 10, 32 o 56 colori 15-bit RGB, 32768 colori, con a schermo fino a 512 in Character Mode o 32768 in Bitmap Mode 15-bit RGB con a schermo fino a 256 colori (attraverso più layer si possono raggiungere teoricamente i 32768)
Audio 4 canali stereo, speaker mono ma cuffie permettono lo stereo 4 canali stereo, speaker mono ma cuffie permettono lo stereo 6 canali stereo (i 4 del GB/GBC e 2 DAC a 8-bit), speaker mono ma cuffie permettono lo stereo Processore dedicato Sony SCP7000 a 8-bit con 8 canali stereo 16-bit ADPCM a 32 kHz

I fattori che lo limitavano tuttavia erano di rilevante importanza, in primo luogo utilizzava ancora batterie normali (due AA) e non una ricaricabile per una durata massima di -in media- 15 ore, era poi privo di retroilluminazione e ciò rendeva difficile giocare in assenza di fonti di luce (entrambe queste problematiche saranno poi risolte dal Game Boy SP, anche se i primi modelli non erano retroilluminati ma con illuminazione frontale), inoltre aveva meno tasti rispetto al gamepad SNES e di conseguenza i giochi non potevano avere controlli troppo sviluppati o complessi. 

Le campagne di marketing per questa nuova console furono diverse rispetto alle precedenti, specialmente durante la seconda parte della vita della stessa, con l’arrivo del Game Boy Advance SP. Le pubblicità, in particolar modo quelle americane, smisero di essere “per tutta la famiglia” e si fecero più vicine agli adolescenti. Le parole non servono a molto in questo caso, i seguenti link e immagini sono ben più esplicativi e possono fungere da chiari esempi.

https://www.youtube.com/watch?v=asQ4mT4jjMU 

https://www.youtube.com/watch?v=YfEA0EnYOkA 

Il primo video contiene solo spot dello SNES, mentre nel secondo a partire dal minuto 16:30 inizia la parte del GBA, le differenze sono abbastanza notevoli nelle pubblicità americane presenti in esso e negli spot a seguire 

https://b0wie.s3.amazonaws.com/video/128185/41265/95099/hd_html5_mp4_1439623314.mp4?NaNU92W9f9xWHU6FsBw_B9Lel1Ixpoa5

https://b0wie.s3.amazonaws.com/videos/112612/23640/82358/hd_html5_mp4_1439623279.mp4?eI0njtv6dVJn9V7kfjDxhpI6p1Ex6FiA

https://b0wie.s3.amazonaws.com/video/128243/41318/95152/hd_html5_mp4_1439624411.mp4?uCBIkl49zv8kN1XroUpSJRyx26UmbnHe

https://b0wie.s3.amazonaws.com/videos/106393/16791/hd.mp4

https://b0wie.s3.amazonaws.com/videos/106392/16790/hd.mp4

https://b0wie.s3.amazonaws.com/videos/111297/21568/hd.mp4

e lo stesso vale per varie immagini pubblicitarie

PARTE 3

In quanto console portatile il Gameboy Advance deve poter essere non troppo grande e maneggevole, requisiti che soddisfa a pieno con i suoi 14.4 cm di larghezza, 8.2 cm di altezza e 2.4 cm di spessore e il peso non superiore ai 200 grammi. A ciò contribuiscono anche la sua forma leggermente ovale che si adatta benissimo all’essere tenuta in mano e il posizionamento dei tasti ai lati dello schermo, mai difficili da raggiungere o premere in contemporanea: a sinistra la croce direzionale o D-pad, atta al movimento, con al di sotto i tasti START e SELECT, per aprire i menu di gioco o per metterlo in pausa; a destra i tasti A e B, utilizzati rispettivamente per confermare e cancellare un’azione; sul lato superiore i dorsali L e R, mentre su quello inferiore l’interruttore per l’accensione e la rotella per regolare l’audio (chiaramente la funzione dei tasti, esclusi gli ultimi due, varia in base al gioco utilizzato). Il vano per inserire le varie cartucce si trova sul lato posteriore, come anche quello per le batterie; entrambi non causano fastidi quando riempiti e non vanno ad intaccare la compattezza della console (vi è tuttavia un’eccezione: l’utilizzo di giochi per Gameboy e Gameboy Color, in quanto le cartucce di questi ultimi sono di dimensioni doppie rispetto a quelle dell’Advance, di conseguenza esse eccedono la capienza del vano).

Unico vero problema per la portabilità della console è lo schermo LCD, poiché privo di retroilluminazione, ciò rende terribilmente difficile il riuscire a vedere con chiarezza quello che vi accade quando non si hanno altre fonti di luce (problema risolto con la versione SP).

Il Gameboy Advance non è un prodotto di particolare pregio, la scocca è in plastica, come anche i tasti, e lo schermo non ha una qualità esagerata, nemmeno per quando è stato prodotto, tuttavia risulta essere molto resistente agli urti, data la compattezza che lo caratterizza.

Come quasi ogni altra console, è stato l’oggetto del desiderio di moltissimi, specialmente come regalo di Natale o per il compleanno. Si potrebbe quasi ritenere una “prova d’affetto” dei genitori nei confronti dei propri figli. È stato pensato principalmente per bambini e adolescenti, perciò venne reso molto accessibile, solo 99$ al lancio in America, mentre tra i 120€ e 130€ in Europa, saranno poi le cartucce, che nuove arrivavano ai 40$ e 45€, a permettere ai produttori di guadagnare.

[appunti di ricerca] MAMIYA 6X9 2805132

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Linda Mazzolini

STORIA AZIENDA MAMIYA:

LINK http://www.mamiyaleaf.com/about.html

La Mamiya (per esteso, Mamiya Digital Imaging Co., Ltd., in giapponese マミヤ・デジタル・イメージン グー株式会社, in inglese Mamiya Dejitaru Imejingu Kabushiki-gaisha) è un’azienda fotografica giapponese che produce fotocamere e altri strumenti ottici di qualità elevata.

La società è stata fondata nel 1940 a Tokyo dal designer di macchine fotografiche Seichi Mamiya[1] (間宮 精⼀一) e dal banchiere Tsunejiro Sugawara. Ha sede nella capitale giapponese, e con due impianti produttivi dà lavoro a 200 dipendenti.

Molti modelli Mamiya sono diventati, negl’ultimi sessant’anni, oggetti per collezionisti. Le prime medio formato a soffietto Mamiya-6, la 35mm Mamiya-Sekor 1000DTL, la 35mm Mamiya NC1000, la serie C di lenti intercambiabili per macchine TLR e le macchine della serie Super e Universal sono molto valutate. Mamiya ha anche prodotto gli ultimi modelli nella linea Omega delle macchine fotografiche a medio formato.

LINK https://it.wikipedia.org/wiki/Mamiya_(azienda)

FOTO DELL’OGGETTO:

IMMAGINI/VIDEO:

 

LINK http://camera-wiki.org/wiki/Mamiya_Press

LINK http://www.marcocavina.com/attrezzatura_fotografica/Mamiya_Press23_deluxe/00_pag.htm pag.htm).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PARTE 2

PARTE 3

EREDITA’ EMOTIVA 

L’oggetto ha una storia molto bizzarra. Originariamente è stato comprato dallo zio di mia madre che all’epoca dell’uscita era appassionato di fotografia. Successivamente è stato trascurato perché la passione per la fotografia è cresciuta e allo stesso tempo la ricercatezza di oggetti attinenti al campo della fotografia. Cosi è stato presto dimenticato. 

La cosa più assurda di tutto ciò è l’impiego svolto dallo zio di mia mamma; era un prete. Aveva mille passioni tra cui la musica e, appunto, la fotografia. Dopo la sua morte mi è stato regalato questo oggetto che dopo molto ho scoperto esser una macchina fotografica analogica molto interessante e complessa. 

ANATOMIA

Il kit comprende:

Corpo Mamiya Press 23 Deluxe con impugnatura fisiologica e flessibile

obiettivo Sekor  90mm f/3,5 con tappi originali

obiettivo Sekor  65mm f/6,3 FC con tappi originali

obiettivo Sekor 150mm f/5,6 FC con tappi originali

dorso portapellicola 6×9

dorso portapellicola 6×9 con imballo

dorso con vetro smerigliato per chassis 6,5×9

chassis portapellicola 6,5×9

chassis portapellicola 6,5×9

chassis portapellicola 6,5×9 con imballo

chassis portapellicola 6,5×9 con imballo

chassis portapellicola 6,5×9 con imballo

chassis portapellicola 6,5×9 con imballo

chassis portapellicola 6,5×9 con imballo

tubi di prolunga Mamiya Press 23 n° 1-2-3-4

mirino sportivo 6×9 per 90 e 150mm con astuccio ed imballo

n° 3 mascherine di riduzione 6×6 per dorso 6×9

n° 3 mascherine di riduzione 6×4,5 per dorso 6×9

mascherina mirino 6×6 per 90mm

n° 4 mascherine mirino 6×4,5 per 90mm

mascherina mirino 6×6 per 150mm

mascherina mirino 6×4,5 per 150mm

paraluce per Sekor 90mm

paraluce per Sekor 150mm

telemetro Leitz FOKOS 0,75m

n° 22 filtri Kodak Wratten assortiti

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ANATOMIA ARCHEOLOGICA MEDIALE

pastedGraphic_1.png pastedGraphic_2.png   pastedGraphic_3.png    pastedGraphic_4.png       

pastedGraphic_5.png      pastedGraphic_6.png    pastedGraphic_7.png

L’oggetto è facilmente scomponibile infatti, personalmente, mi è sempre sembrato più un gioco che un oggetto vintage dalla quale poi eseguire un lavoro serio. Da qui posso sottolineare la facilità con cui ho eseguito queste fotografie dimostrative. Sono stati rappresentati i passaggi fondamentali con la quale sono riuscita ad aprire la macchina fotografica anche se le prime due immagini raffigurano l’oggetto completo cioè ancora assemblato. Mentre dalla seconda immagine in poi la nostra Mamiya subisce una scomposizione. L’impugnatura, svitabile attraverso una vite facente parte del corpo macchina, assume una forte importanza in quanto la macchina fotografica ha un peso notevole; attraverso questo oggetto la Mamiya assume una stabilità maggiore. La quarta immagine invece mostra come la lastra sia facilmente rimovibile. Essa assume una grande importanza perché permette alla luce di entrare ed arrivare nella pellicola dietro. Le ultime due foto invece mostrano l’apertura totale della macchina dalla quale si inseriscono sia la pellicola sia si può notare la lastra di cui abbiamo precedentemente parlato. 

 

 

[appunti di ricerca] Controller di gioco per Sony PlayStation

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Laura Passerino

Fig.1

Oggi ho iniziato le ricerche riguardo all’oggetto che voglio studiare, ossia un controller di gioco per Sony PlayStation, c.a. 1998. E’ un joypad (Fig. 1) in plastica nera metallizzata dotato di 14 pulsanti, 4 disposti a croce sulla sinistra, due centrali (SELECT e START), 4 sulla destra che recano dei simboli (triangolo verde, cerchio rosso, croce blu e quadrato rosa) ed infine 4 pulsanti dorsali (L1-L2 e R1-R2), posizionati sulla parte superiore del controller, in corrispondenza delle lettere “L” e “R”. Al joypad è attaccato un cavo non estraibile in plastica morbida flessibile con all’estremità una presa per il collegamento alla console (Fig. 2). La forma particolare dello spinotto lo rende compatibile esclusivamente per prodotti PlayStation (Fig. 3).

 

 

A fronte (Fig. 4) il controller reca il marchio Sony e il logo della console. Sul retro (Fig. 5) sono riportate le informazioni relative alla produzione. Da questa etichetta risaliamo alla divisione di Sony che ha prodotto il joypad, Sony Computer Entertainment Inc., il paese di produzione, la Cina, e sono inoltre riportati due codici: SCPH-1080 e H.

Fig.2

Fig. 3. Sopra, l’entrata per il controller presente sulla console.
Sotto, l’uscita del controller.
“9 pin Sony Playstation proprietary connector cables and
pinouts”, pinouts.ru,
http://connector.pinouts.ru/9_pin_Sony_Playstation_special/
(ultima consultazione 15 Aprile 2018).

Fig.4

 

Sul retro del connettore del controller (Fig. 6) è infine riportata la dichiarazione di conformità alle normative CE, FCC e canadesi riguardo alle apparecchiature elettroniche.

 

Fig.5

Fig.6

Dopo una documentazione fotografica del joypad, ho proseguito con l’analisi dei materiali e documenti ad esso relativi. Imballaggio originale e ricevuta d’acquisto sono andati perduti, ma sono in possesso dal manuale di istruzioni della console. In esso vi è la mappatura dei tasti del controller, illustrazioni su come collegare il controller alla PlayStation (Fig. 7) e i comandi del menù di avvio interno (Fig. 8) e di riproduzione di CD audio (Fig. 9). Il manuale inoltre rivela che il codice SCPH-1080 ritrovato sul retro del controller è il codice identificativo del prodotto tra i vari hardware del formato PlayStation.

 Sebbene il manuale di istruzioni faccia riferimento al controller che era incluso nella confezione della console, il joypad preso in esame, che era stato acquistato separatamente, . lo stesso modello, per cui non ci sono variazioni di utilizzo. Si tratta di un men. accessibile solo all’avvio della console e solamente se non . stato inserito alcun CD di gioco. Questo permette l’accesso alle funzione di gestione dei file di salvataggio contenuti nelle memory card  e la riproduzione di CD audio.

Fig. 7

Fig. 9: A L1 e R1 sono assegnate le funzioni di riproduzione di traccia precedente/successiva, mentre L2 e R2 sono destinati alla navigazione all’interno della singola traccia. SELECT e START sono rispettivamente Stop e Play/Pausa.

Fig. 8: Ai tasti direzionali è affigata la funzione di navigazione, mentre il tasto O è il tasto di conferma.

 

Le informazioni contenute nel manuale riguardo ai comandi si rivelano particolarmente interessanti:  se infatti i comandi dei controller di gioco sono spesso destinati a funzioni molto diverse e “rimappati” a seconda del videogame, fatta eccezione dei tasti direzionali sulla sinistra che sono sempre utilizzati per il movimento (almeno per i giochi della prima PlayStation), è ricorrente nel manuale l’uso di O come tasto di conferma/selezione per i comandi delle funzioni “a console vuota” e si verifica anche nei videogiochi prodotti in giappone, facendo quindi pensare che il tasto O fosse stato concepito per essere il tasto di conferma di default. Tuttavia, nei videogiochi occidentali e nelle versioni europee e nordamericane di PlayStation 2, 3 e 4, il tasto di conferma è di norma X, mentre a O è di solito assegnata la funzione “annulla/indietro”. Questa forma di appropriazione del tasto X da parte dei giocatori e sviluppatori occidentali è probabilmente da rintracciare nel diverso valore che la X ha nella nostra cultura (si pensi alla selezione del voto elettorale, delle caselle nei moduli e nei test, appunto, “a crocette”), mentre O riporterebbe mentalmente allo zero e quindi all’annullamento. Se si pensa anche ai colori associati a questi simboli (blu per la croce e rosso per il cerchio), ci risulta senz’altro più naturale associare istintivamente al cerchio il rifiuto. Al contrario, nell’immaginario giapponese, O e X indicherebbero rispettivamente “giusto” e “sbagliato”.

Un’altra osservazione che ho fatto a partire dalle informazioni sui comandi contenute nel manuale può risultare assolutamente banale per una persona che si approccia all’analisi di questo oggetto senza averlo mai visto o usato prima, ma che può essere una vera e propria rivelazione per un gamer, abituato a concepire i tasti inseriti nel contesto di gioco: SELECT (▄) e START (►) hanno la stessa forma delle icone abitualmente associate alle funzioni che questi due bottoni hanno in caso di riproduzione di CD audio (rispettivamente Stop e Play/Pausa). Essi sono, di norma, i tasti assegnati all’apertura del menù delle opzioni di gioco, di ritorno ai titoli o più semplicemente, mettere in pausa la partita. In un certo senso, queste assegnazioni legate a quella che era una funzionalità minore della console si è travasata anche in quella primaria del gioco, attraverso la capacità di questi bottoni di interrompere e far ripartire il flusso della partita.

Dopo l’analisi del manuale, ho cominciato una prima ricognizione su internet di fonti sitografiche e bibliografiche per avere informazioni sul controller dal punto di vista tecnico, su materiali e componenti utilizzate, sui contesti produttivi che hanno portato alla creazione del mio oggetto di studio, con scarsi risultati. Le informazioni nello specifico sul controller SCPH-1080 provengono perlopiù da siti e forum di appassionati (https://maru-chang.com/hard/scph/index.php/all/english/  ; https://www.consolevariations.com/sony/sony-playstation/sony-playstation-controller-variations/ ; https://psxdatacenter.com/PSX%20One%20Controllers.html ;), per cui come fonti risultano poco attendibili. Per quanto riguarda le fonti bibliografiche, a causa della giovane età della disciplina dei game studies, di libri che indaghino il videogioco in quanto dispositivo tecnologico e mediale ne esistono pochi (Mark J.P.Wolf, The Medium of the Video Game, University of Texas Press, 2001). Esiste tuttavia un numero crescente di blog e magazine online di videogiochi come GameSpot, Kotaku, Eurogamer, GamesRadar che riportano interviste a sviluppatori e produttori e che quindi possono offrire materiale importante per la ricerca.

La ricerca di immagini attraverso la piattaforma Pinterest si è rivelata, al contrario della precedente, molto fruttuosa. Il controller digital-only della prima PlayStation, sebbene meno conosciuto del suo successore dotato di levette analogiche, è ancora molto presente nell’immaginario dei giocatori ed è diventato un’icona cult, grazie al ritorno di tendenza del retrogaming nell’ultimo decennio, infatti viene rappresentato su magliette e in fanart (come si vede nella bacheca Pinterest del progetto). Viene spesso raffigurato assieme ai controller delle successive console PlayStation per rappresentare l’arco evolutivo del brand, oppure solo o con altri joypad di console obsolete come cimeli di modernariato. Alcune immagini provengono da siti di eCommerce, come eBay, a dimostrazione che l’oggetto possiede ancora un valore di mercato. 

PARTE 2

Diario di bordo: 20 Aprile 2018

Per questa parte della ricerca, ho fatto uso delle risorse digitali non ufficiali che avevo trovato alla fine della volta scorsa (forum e blog di appassionati). Dall’analisi delle fonti sono riuscita ad ottenere alcune informazioni interessanti:

  • Da Nintendo Hard Numbers, il modello SCPH-1080 risulta essere un controller di una generazione successiva rispetto al controller originale venduto assieme alle prime PlayStation, lo SCPH-1010 (venduto a ¥2500 ~ 36.000Lit. a partire dal 3 Dicembre 1994). Il 1080, messo in vendita in Giappone a partire dal 2 Aprile 1996 allo stesso prezzo del 1010, presenta alcune migliorie, quale un cavo più lungo e un noise filter. Non esistono altri modelli digital-only (senza levette analogiche) di questo controller. 
  • Da psxdatacenter.com, ricaviamo che il 1080 pare sia stato il primo controller a essere venduto al di fuori del Giappone e la versione occidentale sia un po’ più grande di quella giapponese. 
  • Da consolevariations.com, inoltre veniamo a sapere che il modello 1080 ha avuto varianti di colori diversi rispetto al grigio standard: Clear Black (nero semi-trasparente), Solid Black (nero opaco), Red e White. 
  • Da playstationgeneration.it, capiamo che il noise filter per la riduzione dei segnali indesiderati è costituito da un nucleo di ferrite, ossia quell’elemento posto lungo il cavo prima dello spinotto.
  • Attraverso il forum AssemblerGames, riusciamo inoltre a decifrare il significato della lettera H stampata sul retro del controller: starebbe a indicare l’iniziale della società che ha prodotto il controller in sub-appalto, di norma A (Alps), H (Hori) o M (Mitsumi).

Queste informazioni si rivelano molto interessanti per aprire alcuni spunti di riflessione: 

Innanzitutto, visto che 1010 e 1080 sono stati i controller di lancio di PlayStation rispettivamente in Giappone e nel resto del mondo, vi è uno scarto temporale di un anno e mezzo tra le release giapponese e internazionale. Il 1080 è forse il sintomo della intenzione di Sony di esportare la console internazionalmente dopo un periodo di rodaggio in patria. 

Le modifiche apportate al controller originale inoltre, al di là di migliorie da un punto di vista tecnico-pratico, possono essere rilette come un adattamento del controller agli usi e contesti occidentali: un cavo più lungo permette una distanza maggiore dallo schermo televisivo e dalla console, rendendola utilizzabile in spazi più ampi (come quello del salotto, che comporta generalmente una certa distanza dallo schermo, piuttosto che quello più ristretto della camera); un controller più grande è anche più adatto per mani tendenzialmente più grandi di quelle giapponesi, quali quelle occidentali.

Infine, importante ai fini della ricerca sull’oggetto in mio possesso è senz’altro il fatto che sia una delle varianti colorate (nero opaco) del modello. La decisione di produrre controller di colori diversi è un richiamo all’acquisto di un 1080 aggiuntivo anche se ne possiede già uno (o più) per averne uno che non sia grigio. Si fa appello al personale gusto estetico del giocatore o al suo desiderio di possedere qualcosa di diverso rispetto agli altri (non sono ancora i tempi del multiplayer online, per giocare con gli amici bisognava collegare un secondo controller alla console o altri tre attraverso una periferica chiamata Multitap). Retrospettivamente, inoltre, si può notare come il particolare tipo di colorazione del mio controller, un nero metallizzato quasi sbiadito, sia poi diventato lo standard per i DualShock 2, ossia i joystick standard di PlayStation 2. Dal successo e diffusione di questa seconda installazione del brand, i controller PlayStation base saranno sempre neri (anche se non più metallizzati, bensì Jet Black, ossia tinta unita).

LINKS:

1 “SCPH”, Nintendo Hard Numbers, https://maru-chang.com/hard/scph/index.php/all/english/ (ultima consultazione 23  Aprile 2018).

2 “PSX One Controls”, PlayStation DataCenter, https://psxdatacenter.com/PSX%20One%20Controllers.html (ultima consultazione 23 Aprile 2018).

3 “Sony PlayStation Controller Variations”, ConsoleVariations.com, https://www.consolevariations.com/sony/sony-playstation/sony-playstation-controller-variations/ (ultima consultazione 23 Aprile 2018).

4 Domenico Leonardi, “La Nascita e l’Evoluzione del Controller”, PlayStationGeneration.it, http://www.playstationgeneration.it/2010/08/il-controller.html (ultima consultazione 23 Aprile 2018).

5 “PlayStation digital controller variants”, AssemblerGames, https://assemblergames.com/threads/playstation-digital-controller-variants.44549/ (ultima consultazione 23 Aprile 2018).

 

PARTE 3

Diario di bordo: 04 Maggio 2018

Osservazione generale

L’oggetto è composto di:

  • un controller “tridimensionale” ,
  • un cavo in plastica di circa due metri,
  • un nucleo di ferrite,
  • un PlayStation port per il collegamento con la console.

Ai fini della ricerca mi concentrerò sullo studio del controller. 

Non sembra essere apribile da davanti, ma girandolo si notano 8 viti posizionate sul retro. (foto1) Le viti erano però in pessime condizioni per cui mi è risultato impossibile svitarle. Prenderò quindi come riferimento immagini e filmati reperiti sul web di controller dello stesso modello e prodotti nello stabilimento Hori.

Scomposizione in forme

(foto2) 

(https://i.pinimg.com/originals/04/c1/97/04c19747e5bef9c1dd0c20040264c9d8.jpg)

Si può notare una certa somiglianza tra il SCPH-1080 e il controller per Super Famicon (SNES), console di Nintendo uscita in Giappone nel 1990, nella forma della base del pad (due aree circolari collegate da un ponte rettangolare) e nella disposizione dei bottoni (Select e Start conservano perfino i nomi). Questo è da imputare al fatto che inizialmente PlayStation fosse stata inizialmente concepita come add-on di SNES per la lettura di CD-ROM, grazie ad un accordo tra Sony e Nintendo, che però ebbe vita breve. Quando Sony decise di continuare il progetto, alcuni elementi del progetto originario vennero mantenuti.

(foto3)

Analizzando l’oggetto lateralmente, possiamo poi notare una sporgenza al di sotto dei tasti dorsali. La sua funzionalità è generalmente quella di permettere di appoggiare e mantenere in equilibrio il controller, senza che questo penda in avanti a causa della forma, finendo per causare pressione su L2 e R2. 

(foto4)

Le forme che possono essere tracciate nel profilo del controller rimandano in un qualche modo all’impugnatura di un joystick di un elicottero oppure al calcio di una pistola. Entrambi gli oggetti, come il controller, sfruttano la pressione dell’indice.

Apertura oggetto:     

(http://farm6.static.flickr.com/5130/5322639288_e9a5d15be1.jpg)

All’apertura, troviamo immediatamente:

  • il retro di un circuito stampato che si estende per tutta la larghezza del controller;
  • due circuiti stampati di dimensioni più ridotte, posizionati in verticale, di modo da essere in corrispondenza e collegati ai tasti dorsali. I tasti L1 e R1 sono direttamente attaccati ai circuiti e collegati con il circuito più grande nelle sue estremità inferiori, circa all’altezza delle “maniglie” del controller (https://nuxx.net/gallery/d/54432-10/IMG_8825.jpg), quasi a sfruttare lo spazio vuoto all’interno di esse;
  • al centro, il collegamento a cavi colorati con il cavo del controller. Notiamo anche delle spole per mantenere il cavo e il circuito in posizione.

(http://www.slagcoin.com/joystick/pcb_wiring/beginning.jpg)

Girando il circuito centrale, possiamo notare dei codici sulla superficie del circuito: 

  • la marca del produttore del circuito (Hosiden), 
  • indicazioni dei bottoni a cui le varie aree del circuito centrale sono dedicate (sono in corrispondenza dei bottoni stessi), 
  • due codici in basso a destra e in basso a sinistra, 
  • il circuito integrato del controller.

Sollevando il circuito centrale notiamo il posizionamento di tre cuscinetti in silicone, una in corrispondenza dei tasti direzionali, una di Start e Select e una in corrispondenza dei tasti con i simboli.

Rimuovendoli, troviamo i bottoni veri e propri, tutti in plastica dura ad eccezione di select e start che sono più morbidi. I quattro simboli sono separati tra loro, mentre i tasti dorsali sono un tasto unico ruvido con sezioni di pressione diverse divise da una croce in plastica.

Gestualità

(Filmato1)

Prendendo in mano il controller afferrandolo per le maniglie, ci si accorge le dita si adagiano senza alcuno sforzo sui bottoni, il pollice può raggiungere i quattro bottoni (direzionali per la sx e i simboli con la dx) e indice e medio in corrispondenza dei tasti dorsali, che vengono azionati quasi come il grilletto di un’arma da fuoco (Filmato2). Più difficoltoso raggiungere select e start. E’ molto leggero come oggetto, per cui può essere preso in una mano sola senza problemi. Si può azionare il d-pad passando da un bottone all’altro senza sollevare il dito, di modo da ottenere direzioni intermedie (in alto a destra, in basso a sx, ecc) (Filmato3).

[appunti di ricerca] Lettore MP3 Majestic ic 23/4g

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Corinna Tiss



PARTE 1

Majestic (oggi Majestic-Audiola) è un’azienda italiana nata nel 1979, focalizzata sul mercato dell’autoradio. Da sempre molto attenta nel seguire l’evoluzione del prodotto, con un occhio di riguardo al mondo dei giovani, l’azienda consolida anno dopo anno la sua crescita.
Nel 2000 decide di diversificare la vendita, con la linea “audio-home” lancia i suoi primi mp3.
Il lettore mp3 IC 23/4G è un microlettore con registrazione voce e display LCD, con memoria flash integrata di 4GB.
E’ interessante una pubblicità, pubblicata sul sito della “Majestic-audiola”, andata in onda nel programma “Mai dire gol”: chi guardava questo programma? A chi vuole arrivare l’azienda sfruttando questo programma?


PARTE 2

Per questo progetto sui media obsoleti ho fin dall’inizio pensato al cambiamento nel modo di ascoltare musica negli ultimi anni, soprattutto ai supporti che, dagli anni ’90, sono sempre più in evoluzione. Quindi l’oggetto che mi è venuto in mente, che ormai ho abbandonato da tempo è quello che, più di 10 anni fa, è stato il mio primo lettore mp3.
Anche se si tratta di un media piuttosto recente, risale infatti ai primi anni 2000, credo sia interessante per il fatto che oggi come oggi i lettori mp3 sono stati praticamente abbandonati, grazie alle nuovissime risorse quali la rivoluzione degli iPod, YouTube e, ancora più recente, Spotify. Questo chiaramente non riguarda solo il contesto musicale, ma anche quello degli smartphon, che negli anni 2000 non esistevano e i cellulari del tempo non permettevano l’installazione di app, mentre ora un supporto per la musica non è più necessario.

Difficoltà nelle ricerche.
Nonostante la breve storia del lettore, non è stato così facile trovare informazioni e le poche reperibili sono associate a siti di vendita (EssemmeStore Shop online). Ma, avendo conservato la scatola originale, posseggo ancora il libretto delle istruzioni e un cd allegato all’oggetto.

Il sito della Majestic e l’azienda stessa sono tutt’ora attivi nel mercato elettronico.
Majestic (oggi Majestic-Audiola) è un’azienda italiana nata nel 1979, focalizzata sul mercato dell’autoradio. Da sempre molto attenta nel seguire l’evoluzione del prodotto, con un occhio di riguardo al mondo dei giovani, l’azienda consolida anno dopo anno la sua crescita.
Nel 2000 decide di diversificare la vendita, con la linea “audio-home” lancia i suoi primi mp3.
Il lettore mp3 IC 23/4G è un microlettore con registrazione voce e display LCD, con memoria flash integrata di 4GB. E’ molto pratico, date le sue misure ridotte: 80 mm di altezza per 40mm di larghezza e solo 7mm di spessore (circa ¼ di uno smartphon moderno).
Ha un funzionamento elementare: è dotato di una batteria ricaricabile incorporata, collegabile alla porta USB del computer; con i 5 tasti principali è possibile accedere al menu principale, ai sottomenu, alla riproduzione musicale.
Il lettore supporta la visualizzazione del testo di una canzone (file in formato .lrc e il nome del file deve essere esattamente lo stesso della canzone), permette di riprodurre video (convertiti nel formato AMV), permette di registrare messaggi vocali utilizzando il microfono interno, quando la radio FM è attiva è possibile ascoltare i programmi radio.

Gli inizi.
La storia dell’mp3 ha inizio già nel 1988 quando, grazie ad un finanziamento dell’Unione Europea, il consorzio MPEG comincia un programma di ricerca di nuovi compressori audio e video, che danno vita a MPEG-1 (1989) e MPEG-2 (1994). Solo nel 1997 viene codificato il modello 3 del formato MPEG, che prende il nome di MP3. Grazie alla sua potente codifica con compressione, l’MP3 diventa ben presto il formato principe per l’audio: intere canzoni, su file pesantissimi in quanto in formati non compressi possono essere compresse in pochi MB, ideale per la condivisione della musica sulla rete. In un periodo dove connessioni a banda larga come ADSL e fibra ottica sono veramente appannaggio di pochi, la musica messa in condivisione tramite la compressione MP3 esplode nell’Internet come una bomba atomica.
Il primo lettore MP3 commercializzato è l’MPMan F10 presentato nel marzo 1998 alla fiera CeBIT dalla compagnia sud-coreana “Saehan Information Systems” e commercializzato dalla Either Labs nell’estate seguente a 250 dollari con 32 MB di memoria flash.

La rivoluzione dei “giga”.
Le trasformazioni indotte dalle nuove tecnologie, la possibilità di evitare i vecchi supporti materiali sostituendoli con formati digitali, permettono, a cavallo tra il XX e il XXI secolo, di cambiare la concezione di “quantità” di musica posseduta. Infatti quelli che prima erano 50 brani o canzoni, 3 album o 10 CD, con l’avvento dei supporti digitali, in primo luogo l’mp3, diventano 30 “giga”. Questo, ha cambiato anche la relazione degli utenti con la dimensione della musica quantitativa acquisibile e facilmente archiviabile in formato digitale: da questo momento infatti è piuttosto facile scaricare file mp3 in quantità molto più alta rispetto a quella che realmente è possibile ascoltare. La sovrabbondanza di musica posseduta produce un ascolto meno attento e meno coinvolto e spesso porta al “buttare via”, letteralmente, questa musica.
Si inizia quindi ad intravedere un cambiamento nel rapporto tra ascoltatore e musica. L’investimento emotivo, economico e materiale dell’ascoltatore nel processo di acquisizione di questa musica si trasforma: se da una parte è molto più semplice entrare in possesso di nuova musica, dall’altra diventa altrettanto semplice e consueto disfarsene.

Ambiente sociale e culturale.
E’ interessante una pubblicità, pubblicata sul sito della “Majestic-audiola”, andata in onda nel programma “Mai dire gol”. Da chi guardava questo programma? A chi vuole arrivare l’azienda sfruttando questo programma?

[appunti di ricerca] Yashica FX-3 super

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Anna Carolo

PARTE 1

Non è stato semplice trovare materiale relativo alla reflex Yashica FX-3 super, infatti le poche informazioni  recuperate ne perlano in confronto al modello che l’ha preceduta, la FX-3, e a quello che  l’ha superata, la FX-3 super 2000.

 

 

Altre informazioni possono essere recuperate da blog personali di utenti che ne hanno posseduta una e hanno voluto condividere sul web la loro esperienza di users:

http://www.ccworld.it/2010/10/la-mia-prima-reflex-yashica-fx3-super/

Per la descrizione, dimostrazione e spiegazione del suo funzionamento tecnico ho trovato due video su Youtube:

https://www.youtube.com/watch?v=XOChaSxuNyA

https://www.youtube.com/watch?v=4FHbO0TWTRI

Per recuperare ulteriori informazioni farò riferimento anche alla storia della Yashica e ai modelli da essa prodotti:

http://www.guidafotousato.it/4-storia_marche/testi/yashica.htm


PARTE 2

Eredità emotiva (ancora modificabile)
L’oggetto che mi trovo a esaminare è una Yashica FX-3 super, macchina fotografica degli anni ’80 appartenuta a mia madre. La macchina le è stata regalata per il compleanno (probabilmente nell’86) da un suo fidanzato, in un primo momento la portava sempre con sè per fotografare un po’ tutto quello che le capitava successivamente divenne compagna di viaggi, gite e scampagnate. L’ha utilizzata per circa una decina d’anni fino a quando non si è rovinata e le fotografie che le restituiva erano “macchiate” (così me le ha descritte). Dopo averla sostituita con una macchina digitale ha voluto conservarla perchè legata a molti ricordi, perchè tutto sommato era ancora in buone condizioni e soprattutto perche è stata la sua prima macchina fotografica che fosse completamente sua, un oggetto che apparteneva solo a lei.

Inchiesta archiviale
Premetto che non è stato facile reperire informazioni sulla Yashica FX-3 super, poichè nella maggior parte dei casi ne parlano in relazione al modello che l’ha preceduta, Yashica FX-3, e a quello che l’ha superata, Yashica FX-3 super 2000.
La Yashica FX-3 super esce nel 1984 mantenendo diverse qualità del modello precedente ovvero una velocità di scatto 1/10000, un valore ISO 12-1600, la messa a fuoco manuale e l’uso di una pellicola 35 mm. Inoltre prevede la possibilità di utilizzare il flash che può essere inserito nella parte alta della macchina e funziona a batterie. Presenta anche dei miglioramenti come l’aggiunta di una presa sulla parte destra che favorisse la tenuta, lo spostamento del misuratore di esposizione vicino al pulsante di scatto e l’indicatore del flash sul mirino (parte che ha bisogno di altri controlli)

http://camerapedia.wikia.com/wiki/Yashica_FX-3

La Yashica FX-3 super 2000 fa la sua apparizione nel 1987, mantiene le stesse caratteristiche estetiche della FX-3 super ma presente una maggior velocità di scatto 1/2000 (2000 da cui prende il nome) e un valore ISO 25-3200.
La Yashica come società vede degli alti e bassi perciò nel 1983 viene acquisita dalla Kyocera Corp., il cui marchio è visibile nei modelli successivi a quell’anno perciò anche nella parte frontale vicino al mirino della Yashica FX-3 super.
Il modello esce esclusivamente in nero, la maggior parte delle componenti è in plastica, presenta un rivestimento in finta pelle e una custodia dello stesso materiale. Modello molto simile e che funziona allo stesso modo è la serie FX-7 che varia esclusivamente per le rifiniture cromate.
L’unico prezzo trovato è quello della prima FX-3 (1979) che viene venduta in Italia per 220.000 lire, e secondo la testimonianza di mia madre il prezzo della FX-3 super si aggirava lo stesso intorno a quella cifra.

Storia della Yashica: http://www.guidafotousato.it/4-storia_marche/testi/yashica.htm

Della FX-3 e FX-7 (e relativi modelli successivi) ho trovato online un PDF con il manuale tecnico e le istruzioni d’uso.

SFOGLIA PDF -> yashica_fx-3_fx-7

Inoltre sono una descrizione esauriente del funzionamento due video trovati su YouTube:

Attualmente online ho trovato sia delle recensioni (anche se per lo più della FX-3 e della FX-3 super 2000) che dei blog in cui gli utenti raccontano la propria esperienza di users:
http://sitoufficialex.altervista.org/recensione-yashica-fx3-super-2000.html
http://www.ccworld.it/2010/10/la-mia-prima-reflex-yashica-fx3-super/
http://mailch.blogspot.it/2012/12/the-users-review-yashica-fx-3fx-7-fx.html
https://asminhascamaras.blogspot.it/2017/05/yashica-fx-3-super-1984.html?m=0

Da questi siti si desume il grande successo che la Yashica FX ha avuto in quegli anni, in tutti i suoi modelli si prestava ad essere una reflex compatta e maneggevole. Le FX non erano di per sè particolarmente costose soprattutto perchè in quegli anni spopolavano le Canon che costavano quasi il doppio. La spesa maggiore stava nella pellicola e nello sviluppo della stessa.
Anche mia madre racconta la sua esperienza di users. Innanzitutto la Yashica FX-3 super offriva una buona qualità d’immagine ma la cosa che davvero le dava soddisfazione era che la riuscita di una buona foto dipendeva anche dall’uso che ne faceva. Per questo motivo un po’ alla volta ha esplorato e imparato a usare le diverse funzionalità che non potè sfruttare a pieno poichè non si è mai procurata un cavalletto. D’altra parte racconta quanta cura ci mettesse nel fotografare perchè se uno scatto non veniva era una foto rovinata e una spesa di pellicola sperecata. Ha paragonato la sua esperienza con l’avvento del digitale che permette meno sprechi, infatti se una foto non riesce bene si può modificare o addiritura cancellare, il digitale permette inoltre di scegliere quali foto stampare mentre un rullino lo si doveva far sviluppare tutto comprese quelle foto che poi avrebbe dovuto buttare.

[appunti di ricerca] Fujifilm Quicksnap 400 Jeans

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Barbara Desiante


PARTE 1

La Fujifilm Quicksnap 400 Jeans è una fotocamera monouso con 27 scatti a disposizione e flash (con shooting range di 10 ft, circa tre metri).

Il valore ISO massimo è 400: la lunghezza focale dell’obiettivo è 32 mm, l’apertura dell’otturatore f/10: la distanza minima per la messa a fuoco è 3.3, circa un metro. La pellicola è una 35 mm, con tempo di esposizione minimo a 1/125 sec.
Le impostazioni sono automatiche: tutto ciò che dobbiamo fare noi è sbirciare nel mirino per inquadrare un pezzo di mondo, girare la rotellina per avvolgere la pellicola, e scattare. Sviluppate le fotografie dopo aver finito il numero di esposizioni, o superata la data di scadenza del rullino indicata sulla confezione, dovremo poi disfarci del prodotto.

Il suo costo, alla data di uscita di circa 4$, si aggira ora (online) intorno ai 9€. Elogiata per il suo Finder di alta qualità e per l’assenza di ritardo nel flash, questa macchina fotografica, piccola, compatta, leggera e reperibile quasi ovunque, ha consentito per la prima volta a tutti di poter avere dei ricordi materiali delle proprie vacanze senza dover per forza investire in una reflex.

 

 

La storia delle macchine usa e getta risale al 1986, quando Fujifilm lancia sul mercato la Fujicolor Quicksnap: “negli anni ’80”, racconta l’azienda sul suo sito, “anche una fotocamera compatta e relativamente economica costava 40,000¥ (circa 240$) o più”; questo soprattutto per la quantità di componenti e la complessità del loro assemblaggio. “Il 70% dei consumatori”, continua l’articolo, “provò ad un certo punto la frustrazione di aver mancato uno scatto importante perché non avevano una fotocamera con sé”; ora invece l’utente medio aveva la possibilità di scattare in tutta libertà delle fotografie qualitativamente buone in modo facile e veloce.
Infatti, la riduzione dei costi non comporta, per l’azienda, una compromissione della performance del dispositivo.

Il concept della Quicksnap è radicale, e il sito di Fujifilm lo riassume con la formula “lens with a film”; questi i due punti cardine dell’apparecchio, avvolto poi in plastica e carta. Questi materiali venivano poi smaltiti e riciclati attraverso un sistema che faceva capo al marchio stesso. L’azienda apporta poi dei miglioramenti al prodotto, creandone differenti modelli. Le vendite furono da subito altissime: questa fotocamera cambiò in modo incisivio la maniera in cui le persone si rapportavano non solo alla fotografia, ma anche alla realtà stessa: il mondo era ora a portata di scatto.

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PARTE 2


Film with a lens, questo lo slogan con cui la Fujicolor Quicksnap fu lanciata sul mercato nel 1986. Il motto rimarca il concept da cui la fotocamera è nata, ma anche la semplicità delle componenti, che si ripercuote poi nella facilità d’uso, e ha echi di un’altra famosa pubblicità – quella della Kodak Eastman – che recitava “You press the button, we do the rest”. Il principio è fondamentalmente lo stesso: la fotocamera è completamente automatica, l’unico movimento che ci rapporta ad essa è la rotellina che fa avanzare la pellicola e il pulsante di scatto. Questa stessa gestualità, tipica della fotografia analogica, è stata lungamente mitizzata: il clic è in sé qualcosa di iconico e che ci riporta subito dietro l’obiettivo. Certo, qui il rumore è particolare: stiamo premendo plastica, e non metallo. Il materiale ha un ruolo decisivo per definire i punti di forza di questa macchina fotografica: il prezzo, la dimensione, il peso e la disponibilità.

Sul sito di Fujifilm il sottotitolo recita “A world in which everyone can enjoy photography!, e questo everyone include davvero chiunque. Il prezzo, di appena 4$, rende la Quicksnap un prodotto accessibile a qualsiasi classe sociale; unito al materiale, non di lusso, permette di poterla usare anche ai bambini che amano documentare le proprie gite scolastiche, ma che rischierebbero di rovinare l’intoccabile ‘macchina fotografica del nonno’. Tutti la possono usare perché è maneggevole e autoesplicativa: sul retro troviamo le istruzioni, ma non abbiamo nemmeno bisogno di andare a rileggerle; in realtà, serve a malapena essere alfabetizzati. Il ruolo più attivo che abbiamo, in fondo, oltre a fare la nostre fotografie, è quello di portarle da un fotografo a farle sviluppare.
E ancora, tutti possono accederle perché anche laddove non si è potuto portare con sé una macchina fotografica dispendiosa e professionale, basta fare un giro in un supermercato per prenderne un paio e non buttare nel dimenticatoio una piacevole vacanza, che andrà sicuramente a coprire interi album di famiglia da sfogliare in occasioni speciali. Il viaggio è l’occasione perfetta per la Quicksnap, anche perché riduce al minimo il peso e lo spazio di corpi macchina e obiettivi: grande poco meno di una mano, è leggera e la si può infilare in un taschino.
Anche la Kodak punta a questo per la campagna pubblicitaria delle sue macchine monouso, recitando “This picture was taken by someone who didn’t bring their camera”. Il design, in particolare, della Fujifilm Quicksnap 400 Jeans, la rende appetibile a un pubblico giovane, confermandosi vicina alle sue esigenze e sensibile alle sue mode. 

Il grande contesto in cui s’inserisce la tradizione dell’usa e getta è quello del consumismo. Dalle batterie ai rasoi – le lamette Gillette a inizio Novecento sono probabilmente tra i primi articoli monouso che hanno avuto più successo − , dalle forchette in plastica alla carta, molti oggetti di cui ci disfiamo dopo un solo uso sono ancora presenti nella nostra società, e se spesso ci lamentiamo che i nostri dispositivi elettronici ed elettrodomestici, in cui abbiamo investito con tanto impegno, si rompono facilmente, è proprio quella la radice che andiamo a intaccare. Sanità, economicità e praticità sono le caratteristiche principali di questi prodotti. Il problema è tuttavia lo smaltimento dei materiali, a cui Fujifilm ha pensato creando un suo sistema di riciclaggio delle fotocamere.

Certo, al giorno d’oggi, in un’epoca in cui gli smartphone stanno cercando pian piano di soppiantare persino le capacità di una reflex, non è così facile trovare un posto per le fotocamere usa e getta. C’è però qualcosa nella grana − low-quality rispetto al numero di megapixel verso cui stiamo andando – che ancora colpisce alcuni appassionati, magari un po’ nostalgici. D’altronde, è anche la limitazione sul numero di scatti che ci permette di concentrarci meglio su ciò che vogliamo inquadrare e su come vogliamo farlo. Le seconde possibilità sono rare; questo rende le foto più veritiere ancora, più spontanee, a volte più incerte, ma non per questo meno apprezzabili. Scattare con uno di questi oggetti riporta a una certa idea di innocenza, purezza, che  nel Nocevento inverte anche la direzione di altri movimenti artistici nel quadro delle Avanguardie storiche. Alcuni video di esperimenti sociali ci aiutano a ragionare anche su questi concetti: