Andrea Mariani | (Un)Dead Media Project
Cinema, storia, media
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[appunti di ricerca] diapositiva

 

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Marianna Iob



PARTE 1

Introduzione:

Si tratta di un’immagine fotografica positiva, che può essere sia a colori che in bianco e nero; l’immagine è sovrascritta su un supporto trasparente e ha la peculiarità che per essere vista deve essere attraversata dalla luce (dia:” attraverso” e “positiva). A questo scopo esistono schermi retroilluminati e proiettori appositi (imm 3).

Quando parliamo di “diapositive” in realtà ci stiamo riferendo ad una pellicola (imm. 1) montana su un telaietto (imm. 2). Per raggiungere questo tipo di prodotto si utilizzava semplicemente una macchina fotografia a rullino, e quando quest’ultimo aveva esaurito gli scatti possibili si poteva procedere con il “taglio” della pellicola nel rullino. Questo procedimento era svolto non a casa ma in appositi negozi (come gli ottici) che provvedevano anche a montare il ritaglio della pellicola sul telaietto.

Approfondendo l’argomento già introdotto riguardo i proiettori, si possono citare varie tipologie (a carosello, a caricatore lineare, a doppio caricatore…) su cui però non ci soffermeremo, in quanto l’utilizzo dei tali è molto simile.

Semplicemente il proiettore (imm. 3) era dotato di uno spazio apposito per inserire i caricatori (imm. 4) che potevano contenere fino a 50 diapositive. Questi caricatori erano utili anche per ordinare le diapositive, un po’ come un album fotografico.

Per concludere, il proiettore e le diapositive rappresentavano nei decenni passati un grande intrattenimento familiare; per riprodurre in modo soddisfacente le diapositive, c’era bisogno di un ambiente buio e domestico dove poter riguardare frammenti del proprio passato.

Produzione e storia:

Per quanto riguarda la produzione delle diapositive in senso moderno (imm. 1, 2) possiamo datarle tra gli anni ‘50 fino alla fine degli anni ‘90. In realtà la nascita delle diapositive risale all’ottocento, con l’avvento degli stereoscopi (https://it.wikipedia.org/wiki/Stereoscopio).

Un altro passo in avanti verso le moderne diapositive, apparve negli anni ’30, con la compagnia True-Vue, la prima a inserire diapositive stereoscopiche in pellicola 35 mm in b/n (https://it.wikipedia.org/wiki/Tru-Vue).

Importante citare anche il sistema View-Master, il primo sistema di visione 3-D a utilizzare un supporto di cartoncino. Questo sistema comprendeva diapositive a colori, commercializzato dalla compagnia Sawyer’s Photographic Service nel ’38 (https://it.wikipedia.org/wiki/View-Master).

Nel dopoguerra ci furono ulteriori passi in avanti, soprattutto grazie a compagnie molto conosciute ancora oggi come la Kodak (con le sue pellicole Kodachrome ed Ektachrome 64T), l’Agfa (con l’Agfachrome) e la Fujifilm (con la Fujichrome e la Velvia).

La miglior pellicola tra quelle sopracitate era senza dubbio la Kodachrome della Kodak. Questa pellicola per diapositive fu in produzione fino al 22 Giugno del 2009, e l’ultimo rullino venne sviluppato l’anno successivo. Sempre della Kodak, le pellicole per diapositive Ektachrome cessarono la produzione nel 2012.

Ma niente paura, la Kodak ha annunciato nel 2017 che quest’ultima tipologia di diapositive tornerà sul mercato (http://blog.analogica.it/analogica-it/segnalazioni/2017/01/il-grande-annuncio-kodak-tornera-a-produrre-diapositive-ektachrome-nel-2017/).

Usi, pratiche e ambienti sociali/culturali di utilizzo:

Non sono presenti molte pubblicità riguardo alle diapositive e relativi proiettori, come non ci sono molte informazioni online riguardo l’oggetto.

Si possono però rintracciare alcuni video di film, pubblicità e serie tv dove queste diapositive appaiono.

In una puntata di Mad Man, il protagonista sta sponsorizzando un proiettore di diapositive; tralasciando i sentimenti del protagonista, possiamo vedere la potenzialità dell’apparecchio all’epoca (anni ’60). Come infatti dice il protagonista, riferendosi al proiettore Kodak: “Questo aggeggio non è una nave spaziale, è una macchina del tempo”. Per tutto il video cerca di descrivere cos’è realmente quel proiettore e cosa le diapositive ci possono dare in senso emotivo, definendo il ruolo sentimentale di esse. (https://www.youtube.com/watch?v=vAcmnUz-lnA)

Proseguendo, si può riportare anche una vecchia pubblicità di vestiti, che inizia con un padre e un figlio attorno ad un proiettore a Carosello. Questo spot può indicare come l’oggetto in questione fosse entrato nella vita quotidiana, come lo può essere oggi un normale telefono (https://www.youtube.com/watch?v=Pztt2sFJHdw) e lo stesso vale per il film “It” del 2017 (https://www.youtube.com/watch?v=3sFnVs–D2I) e Ace Ventura (https://www.youtube.com/watch?v=Pztt2sFJHdw).

In questi ritagli non sono direttamente citate le diapositive, ma solo il macchinario che le esalta; comunque si può concludere che le diapositive (specialmente dagli anni ’60 ai ’70) furono un tramite per il coinvolgimento famigliare o amicale, un n uovo modo per rivivere ricordi e momenti intensi.

Purtroppo, al giorno d’oggi questi momenti profondi dati dalle visioni delle diapositive si è totalmente perso: guardiamo le foto dal telefono velocemente, senza soffermarci mai troppo, produciamo un numero di fotografie imbarazzante e senza dare ad esse il giusto peso emotivo. Al giorno d’oggi quello che conta sono i like, non più la storia che c’è dietro all’immagine.

Concludendo, le diapositive erano momento di aggregazione, di ricordo e di sentimento che purtroppo non torneranno mai più

https://www.youtube.com/watch?v=vAcmnUz-lnA mad man

https://www.youtube.com/watch?v=3sFnVs–D2I it pro. A carosello

https://www.youtube.com/watch?v=Pztt2sFJHdw pubblicità vestiti

https://www.youtube.com/watch?v=Pztt2sFJHdw ace ventura

 

[appunti di ricerca] Soundesign Six Band Radio Model 2660B

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Francesca Bortoluzzi



PARTE 1

Soundesign Six Band Radio Model 2660B.

Per questo progetto ho recuperato una radio degli anni ’80 prodotta dalla Soundesign.

SDI Technologies is the name of a consumer electronics manufacturer whose products are marketed under several national brands, including Timex, Sylvania, eKids, New Balance, KIDdesigns, and iHome. They used to market under Soundesign, a now defunct brand. 

La sua storia, sia quella legata al produttore che al consumatore, rimane per il momento piuttosto incerta.

Per fare luce sulla prima oltre a delle ricerche autonome via internet ho provato a contattare via email  la SDI Technologies.

La storia affettiva di questa radio invece, coinvolge mia nonna e la famiglia Bocato per cui ha lavorato e a cui è ancora molto affezionata. Più di 10 anni fa il capofamiglia morì e la famiglia diede via alcuni dei suoi oggetti tra cui questa radio che finì in mano a mia nonna; fino ad arrivare ai banchi del Digital Storytelling Lab come soggetto di un analisi sperimentale. 

Nonostante abbia passato molti anni in cantina i quali hanno portato alcune molle ad arrugginirsi, è stata conservata piuttosto bene ed è tuttora perfettamente funzionante.

Tra i vari oggetti che avrei potuto scegliere era il più maneggevole e comodo da trasportare, oltre a rappresentare quasi una sfida, personalmente sono abituata ad usufruire della radio come componente di un apparato più grande (ad esempio la macchina) e non come cosa a sé stante.

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Primi approcci e frustrazione:

Ho mosso i primi passi verso questo oggetto andando a ricercare immagini su internet che lo ritraessero sperando anche in qualche descrizione approfondita, ma i risultati almeno per i miei scopi iniziali non sono stati molto fruttuosi. Sembra che la maggior parte dei link che riguardano questa radio portino a siti come Ebay e simili, al momento solamente www.radiomuseum.org è stato utile fornendo una descrizione delle sue componenti.

Non ho trovato alcuna promo dell’oggetto, non so come fosse la confezione e sentendomi di fronte ad un muro ho deciso di  inviare una mail alla SDI Technologies, con la speranza che il contenuto risulti abbastanza interessante da collaborare in questa indagine.

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PARTE 2

Soundesign Six Band Radio Model 2660B.

Il modello preso in analisi è una radio multibanda a transistor degli anni ’80.

Il transistor è quella tecnologia che a partire dagli anni ’50 modificò gran parte degli oggetti mediali; il primo a incontrare il cambiamento fu proprio la radio (fonti: http://www.leradiodisophie.it/Transistor-anniversary.html).                                                                                                 Le prime fusioni portarono alle radio tascabili per poi modificare le “taglie” successive, nel caso qui analizzato si tratta di una radio portatile.

Il costo di questo oggetto oggi va dai 50 – 70 dollari, dipende dal sito ecommerce su cui si cerca, molto probabilmente in origine il prezzo era maggiore.

Essendo una radio portatile, l’oggetto presenta sulla parte superiore una maniglia e il rivestimento in pelle marrone contribuisce a farla assomigliare ad una valigetta 24 ore.                                                       Questa associazione può essere condizionata anche dalla possibilità di aprirne il lato posteriore tramite due bottoni, dal suo interno emerge la possibilità di inserire la spina in un piccolo scomparto in modo tale che essa non occupi troppo spazio e non intralci.                                                   In sostituzione all’alimentazione tramite cavo elettrico è possibile introdurre delle batterie mezza torcia.

Questa modalità d’uso suggerisce una fruizione dell’oggetto dinamica, lo rende adatto a spostamenti, viaggi e a piccoli spazi. 

“Ma negli anni ’80 dove si ascoltava la radio?”

“A casa e anche in spiaggia, sì! Portavamo la radio in spiaggia”.

Osservando l’oggetto con mio padre.

Chiudendo questo lato e riportando l’attenzione su quello frontale si nota un particolare che al momento ho riscontrato solo nelle radio prodotte a partire dagli anni ’80, ovvero il colore. Le diverse bande sono associate a dei colori, probabilmente gli abbinamenti derivano dai colori dello spettro elettromagnetico percepibili dall’occhio umano.

Sopra a manopole e schermo per regolare la frequenza troviamo una mappa accompagnata dalle istruzioni, che indicano come poter seguire un programma in base al luogo e alla fascia oraria.

Risalire a delle conclusioni analizzando questo oggetto è complesso, la stessa radio, stesso nome e stesso design presenta delle varianti. Sul web si trovano modelli in cui ad esempio non è presente la Dial – O – Map. 

“Questa degli anni ’80? No ma non può essere…” osservando l’oggetto con mio padre.

Il design dell’oggetto è stato per un primo momento fuorviante, la sua estetica sembra condurre ad almeno una quindicina di anni prima, ma molteplici siti tra cui forum ed ecommerce hanno confermato come periodo corretto gli anni ’80.

Dagli elementi raccolti, tra cui il packaging,  si può dedurre che non si trattava di un oggetto pensato per una fascia di età molto giovane, più realisticamente il target andava dai 25 – 40 anni al contrario di molti oggetti iconici di quel periodo.

PARTE 3

Scomposizione

Ho iniziato la scomposizione della Radio Soundesign Model 2660b, con l’intenzione di fermarmi prima di arrivare ad un punto di non ritorno. Il momento è arrivato, al contrario delle mie aspettative, piuttosto presto.

La costruzione di questo oggetto è suddivisibile in livelli differenti: il più profondo, il cuore è dato dalla parte del circuito, dalla batteria, da parte dell’antenna che è inoltre l’unico elemento che nasce dall’interno per poi attraversare il guscio esterno, diventando una parte maneggevole e di fondamentale utilizzo per il funzionamento dell’oggetto. Un secondo livello va dato ad una superficie di plastica nera, essa ha il compito di proteggere questo cuore elettrico da una prima e facile apertura che si attua slacciando due bottoni; sono posti in modo da consentire l’apertura del retro della radio dove sono inseribili delle batterie mezza torcia e dove riporre la spina in modo da rendere più maneggevole e comodo lo spostamento della radio.

Il terzo livello è il guscio esterno fatto di pelle e metallo, quest’ultimo materiale in particolare, durante l’ultima accensione della radio ha  creato un prblema in quanto trasferiva una piccola quantità di elettricità.

L’intento iniziale era di approfondire la scomposizione, ma il secondo livello presenta una resistenza nonostante l’uso del cacciavite; è stato possibile alzare parte della superficie in plastica e rendere visibile il cuore.

Questo impedimento ha indirizzato il mio sguardo sull’indagine e la riformulazione di un elemento esterno piuttosto che interno che verranno sviluppati in futuro.

 

[appunti di ricerca] Pentax PC-313

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Monica Vitulo



PARTE 1

INTRODUZIONE

Ho deciso di utilizzare la macchina fotografica PENTAX- 313 perché la utilizzò fin da quando ero bambina quindi è un oggetto a cui sono molto affezionata.
In seguito riporto delle informazioni storiche dell’oggetto:
Il PC-313 è un punto di messa a fuoco automatico da 35 mm e scatta una fotocamera compatta di Pentax; è degli anni 90.
Fa parte della serie di PC Pentax di fotocamere.
Usa un obiettivo da 3 mm 35 mm, f / 4,5. La messa a fuoco è automatica utilizzando un sistema di tipo a infrarossi. La distanza minima di messa a fuoco è 1,2 m.

Il flash incorporato ha una GN di 10 con un tempo di ricarica di 6 secondi. Il trasporto del film è motorizzato e fa avanzare automaticamente il film. È compatibile con film 100, 200 e 400 ISO. L’alimentazione proviene da due batterie AA.
1951-1957: Le origini di un mito

I progettisti iniziarono la ricerca e lo sviluppo nel 1950 e alla fine del 1951 era pronto il prototipo di una reflex monobiettivo 35mm. Il vetro smerigliato forniva un’immagine brillante e diritta ma invertita da destra a sinistra; ciò poteva essere accettabile per riprese orizzontali, ma inquadrare in verticale era difficile: per questa ragione venne aggiunto un piccolo mirino ottico a fianco di quello a pozzetto. Il primo esemplare di produzione della Asahiflex uscì dalle linee il 26 ottobre 1951 e di conseguenza adottò il numero di matricola 26101, ma l’Asahiflex I fu posta in vendita al pubblico solo nel maggio 1952. La Asahiflex fu la prima reflex monobiettivo 35mm giapponese.
Asahiflex I (1951)
La Asahi Optical Co. voleva realizzare una fotocamera fornita di tempi lenti, ma mancava un adeguato sistema di ritorno rapido dello specchio a velocità più lente di 1/20 di secondo. All’inizio del 1954 furono tentati vari esperimenti insoddisfacenti, poi finalmente il problema fu risolto da Nobuyuki Yoshida. Quando lo specchio si sollevava e raggiungeva la posizione superiore azionando l’otturatore, era tenuto in posizione dall’azione di una molla; quando la seconda tendina dell’otturatore completava il proprio movimento, veniva meno la pressione sulla molla e questo permetteva il ritorno dello specchio in posizione di visione. Il nuovo specchio a ritorno istantaneo fu collaudato e si dimostrò molto affidabile. Con la Asahiflex IIB era iniziata l’epoca della reflex con specchio a ritorno istantaneo.
Asahiflex IIB (1953) – foto: cortesia AOHC
Nel 1957 la Asahi Optical Co. segnò un altro successo con l’introduzione di una reflex finalmente completa di un pentaprisma fisso che dava una immagine brillante sullo schermo di focheggiatura ed correttamente orientata sia nel senso alto-basso che in quello destra-sinistra. La nuova fotocamera venne denominata Asahi (nome del fabbricante) Pentax (denominazione del modello). A confronto con le altre reflex del periodo, la Asahi Pentax era più pratica nell’uso, più compatta e più elegante, un mix che da allora contraddistingue le reflex PENTAX.
Asahi Pentax (1957) – foto: cortesia AOHC
La Asahi Pentax (oggi nota come AP) fu la prima reflex dotata di un pentaprisma fisso, leva di carica rapida e schermo di messa a fuoco con microprismi, annunciando l’alba di una nuova era fotografica; l’epoca d’oro delle fotocamere a telemetro era tramontata. Grazie alle innovazioni introdotte da Asahi (specchio a ritorno istantaneo e pentaprisma prodotto a livello industrale), la reflex 35mm aveva superato le limitazioni dei primordi e poteva far valere la sua maggiore versatilità nell’uso di obiettivi grandangolari e supertele. Buona parte del successo dei modelli Asahi Pentax si deve anche alla scelta di adottare un attacco obiettivi standard: quell’innesto a vite M42x1 che, pur nato in Germania, divenne noto come il “passo a vite PENTAX”. Da questo momento in poi, sempre più professionisti e fotoamatori si sarebbero orientati al sistema reflex.

Luogo: Giappone
Stato: Giappone
Fondazione: 1919 a Tokyo
Chiusura: 31 Marzo 2008
Sede principale: Giappone Giappone, Tokyo

Gruppo: Sussidiaria della Ricoh (dal 2011) SettoreFotografia

SettoreFotografia

Prodotti: Fotocamere ed apparecchiature fotografiche; binocoli, telescopi
Fatturato:  157,3 miliardi di yen[1] (2006)
Dipendenti: 1.661 (2005)
Slogan «Pix Your Life»

La Pentax (da PENTAprism refleX) è una delle più antiche e prestigiose aziende nel mercato della fotografia e dell’ottica. La casa fu fondata nel 1919 da Kumao Kajiwara a Tokyo. Oggi appartiene alla Ricoh, che l’ha acquisita nel 2011 dalla Hoya Corporation. Oltre alle fotocamere, produce binocoli, lenti e diversi strumenti ottici. Nel 2004 la Pentax Corporation aveva circa 1.600 dipendenti.

Pentax può essere considerata l’azienda che ha maggiormente contribuito allo sviluppo delle fotocamere reflex: a lei si devono infatti innovazioni quali lo specchio a ritorno istantaneo, la misurazione esposimetrica spot, l’esposimetro TTL, l’esposizione automatica a priorità dei diaframmi, la reflex autofocus, il trattamento antiriflesso multistrato.

Asahiflex IIb
La Asahi Kogaku Goshi Kaisha’ venne fondata nel novembre del 1919 da Kumao Kajiwara a Toshima (sobborgo di Tokyo) per la produzione di lenti da occhiali. Nel 1922 iniziava la produzione di ottiche per il cinema e solo nel 1932 con una fornitura di ottiche per la Molta Company Ltd (oggi Minolta) iniziava ad affacciarsi nel mercato della fotografia. Nel 1938 divenne la Asahi Optical Company Limited e proseguì la propria attività con forniture di ottiche per le forze armate nipponiche.
Con la fine della seconda guerra mondiale il presidente Saburo Matsumoto sull’onda dei successi delle altre case del Sol Levante (Nikon, Canon) decise di avviare un progetto per la produzione di una prima fotocamera alla Asahi Optical. I progettisti basarono il primo prototipo sulla Praktiflex, che pronto nel 1951 venne introdotto l’anno seguente nel mercato con il nome di ‘Asahiflex’. La macchina utilizzava ottiche denominate Takumar in omaggio a Takuma Kajiwara, parente del fondatore, dotate di un innesto a vite M37x1. Fu così che la Asahiflex divenne la prima reflex monobiettivo 35mm giapponese.
Nel 1953 vedeva la luce la nuova serie di Asahiflex la “II”, inoltre veniva aggiornata la linea di ottiche Takumar: la reflex Asahi riusciva a sfondare ed affermarsi come marca di successo. Nel 1954 la Asahiflex IIB introduceva lo specchio a ritorno istantaneo; il meccanismo, basato su levismi, è stato da allora utilizzato da tutti i concorrenti. Nel 1957 un altro successo commerciale avveniva con l’introduzione del pentaprisma ottico che forniva nel mirino una immagine a lati non invertiti, rendendo l’inquadratura semplice e naturale come quella delle macchine a mirino galileiano: nasceva così la marca Pentax (da PENTAprism refleX); questo modello introduceva anche la leva di carica rapida sul lato superiore destro ed i microprismi sul vetrino di messa a fuoco e può essere definita la prima SLR “moderna”, nel senso che presentava le caratteristiche che da allora in poi si sono ritrovate su tutte le fotocamere di questo tipo. Il nuovo modello aveva l’attacco degli obiettivi a vite M42x1, già utilizzato sulle fotocamere Contax e Pentacon, che diventerà uno standard. Nel 1960 veniva presentato il prototipo di una fotocamera SLR con un esposimetro che misurava la luce direttamente dall’obiettivo, la misurazione avveniva su area ristretta (spot), da qui il nome “Spot-Matic” del prototipo. L’esposimetro TTL (Through-the-lens, con il quale la misurazione della luce avviene attraverso l’obiettivo), con misurazione media sul campo inquadrato, avrebbe equipaggiato la celebre Spotmatic che fu commercializzata nel 1964 (nel frattempo – nel 1963 – la concorrente Tokyo Kogaku aveva iniziato la produzione della Topcon RE Super, dotata anch’essa di esposimetro TTL che fu così la prima reflex TTL commercializzata). Nel 1966 vennero presentati due prototipi dotati di otturatore elettronico ed esposizione automatica: la Memorica, a priorità dei tempi e la Metalica, a priorità dei diaframmi. Solo quest’ultima fu sviluppata e dette luogo alla Electro Spotmatic (Asahi Pentax ES), la prima reflex con automatismo a priorità dei diaframmi, commercializzata nel 1971, anno in cui fu lanciata la gamma degli obiettivi “SMC Takumar”, i primi obiettivi commerciali dotati di trattamento antiriflessi multistrato, frutto della collaborazione con l’azienda tedesca Carl Zeiss. Il 1969 vedeva l’introduzione della Pentax 6×7 prima fotocamera di medio formato della Asahi. Il 1975 vide l’introduzione di un nuovo attacco, detto a baionetta K sulle nuove camere chiamate “KM”, “KX” e “K2” in sostituzione dell’attacco a vite M42x1 fino ad allora utilizzato.

Nel 1976 è introdotta la reflex K1000, economica e robusta, ereditava dalle precedenti macchina della serie K la struttura massiccia del corpo, la meccanica di precisione, ad un prezzo contenuto. Uno strumento essenziale, del tutto manuale, affidabile ed economico, resterà uno dei grandi successi del marchio, in produzione per gli anni a venire, costituendo una icona della fotografia. In quello stesso anno Pentax intraprende quella che sarà la costante tendenza alla miniaturizzazione di Pentax, che all’esordio portò alla commercializzazione della serie “M”, per “miniature”, distinta inizialmente in “MX” (totalmente meccanica e di indirizzo professionale) e “ME” (elettronica e per un uso più amatoriale e istintivo). La MX riscosse un notevole successo come modello professionale di dimensioni ridotte e peso contenuto, grazie alla accoppiata con i compatti obiettivi M (da segnalare il contenutissimo 40 mm 2.8 dallo spessore di poco oltre il centimetro). Nel 1978 un’altra novità fu la presentazione del sistema Auto 110, progettato intorno all’allora diffusa cartuccia 110. Questa minuscola reflex, insieme alla successiva Auto 110 Super, resta l’unica fotocamera 110 con obiettivi completamente intercambiabili.

Nel 1980, ricorrenza dei 60 anni di Asahi, Pentax introduce un modello altamente professionale, LX. L’indirizzo spiccatamente professionale emergeva, oltre che da una accentuata cura costruttiva (guarnizioni antipolvere, antiumidità e antispruzzo), dalla dotazione di una serie completa di accessori professionali per ogni esigenza specifica, tra cui mirini intercambiabili. Utilizzabile sia in modalità totalmente manuale che con la priorità di diaframmi, e dotata di un rivoluzionario sistema esposimetrico sul piano pellicola, di un otturatore in titanio e lettura TTL anche durante l’esposizione (sistema PENTAX IDM: Integrated Direct Metering). Caratteristica notevole del sistema esposimetrico della LX era la capacità di lavorare anche a livelli di luce bassissimi (fino a -6,5EV, un traguardo ancora oggi insuperato). Questa eccezionale sensibilità, unita ad un otturatore capace di arrivare in automatico a parecchi minuti di esposizione, aprì nuove opportunità fotografiche nelle riprese a luce ambiente e nella tecnica di illuminazione “open flash”. La Pentax puntò con questo modello ad affermarsi anche nel settore professionale più avanzato, dopo il successo della MX in quel senso, ampliandone caratteristiche e accessori. Insieme alla LX venne presentata la prima serie di obiettivi “Star”, che grazie all’impiego di speciali vetri ED e/o lenti asferiche garantiva elevata luminosità e prestazioni al massimo livello, per confrontarsi alla pari coi massimi nomi dell’ottica mondiale e dotare la LX di un parco ottiche adeguato alla sua destinazione professionale. Con questo modello la reputazione di PENTAX, in termini di innovazione tecnologica, raggiunse l’apice.

Nel 1981 venne raggiunta la cifra record di 10 milioni di fotocamere prodotte dall’inizio dell’attività dell’azienda. La produzione proseguì con la famosa ME-SUPER (1982) vero cult degli anni ’80. ME “Super” in quanto evolveva la precedente ME introducendo accanto alla priorità di diaframmi anche una modalità interamente manuale (con innovativi pulsanti per la selezione del tempo di scatto), la predisposizione per un motore, e indicazione dei tempi nel mirino mediante led come sulla MX. Questo permise di ampliare la possibilità creative della ME e realizzare un modello intermedio tra amatoriale e professionale in grado di conquistare il mercato dei fotoamatori del tempo alla ricerca di prodotti più versatili ma a prezzi adeguati ad un uso non professionale. La compattezza, le ampie possibilità di uso, e il costo contenuto senza alcun sacrificio in termini di qualità costruttiva, fecero della Me-Super un successo di mercato confermato anche negli anni a venire, rendendo accessibile a molti fotoamatori uno strumento prima ad appannaggio di pochi.
Un ulteriore traguardo pionieristico della Pentax è raggiunto con la ME-F nel 1983, la prima fotocamera reflex autofocus prodotta al mondo. Questa fotocamera disponeva di messa a fuoco TTL, il motore per la messa a fuoco era incorporato nell’obiettivo, così che si potevano montare le ottiche normali, con le quali si disponeva di un’indicazione di corretta messa a fuoco nel mirino. Nonostante la rivoluzionaria innovazione tecnologica, il mercato non rispose in maniera entusiastica alla messa a fuoco automatica, che restò una avanguardia isolata delle macchine successiva generazione. Nel 1983 avviene anche l’introduzione del modello Super A reflex 35mm equipaggiata con una nuova serie di obiettivi predisposti per la priorità dei tempi, identificati dalla lettera A in luogo della precedente M, e l’esposizione programmata. La Super A conquistò il titolo di “Fotocamera Europea dell’Anno” ponendosi come sviluppo in direzione elettronica e multifunzionale della precedente generazione.

Nel 1984 fu introdotta la 645, reflex medio formato (6×4.5 cm) motorizzata, in cui vennero importate le tecnologie introdotte con la Super A anche nel medio formato. Intanto i tempi divennero maturi per la diffusione delle reflex autofocus sul mercato, e nel 1987 PENTAX introdusse la prima reflex della nuova serie SF con motore AF integrato nel corpo fotocamera: la SFX. Questo modello si distingue anche per essere il primo ad incorporare un flash, un’altra soluzione tecnica PENTAX presto adottata da tutti i concorrenti. Per sfruttare il motore interno, sono introdotti i nuovi obiettivi autofocus, denominati serie F, appositamente progettati. Gli obiettivi includono un sistema elettronico ed un contatto per lo scambio di dati digitali con la fotocamera e la trasmissione meccanica della messa a fuoco gestita dalla fotocamera.

Con la reflex semiprofessionale Z-1, nel 1991 nasce una nuova generazione di fotocamere e obiettivi PENTAX. Questa fotocamera dal design più massiccio e morbido, si distingue per l’otturatore che arriva all’ottomillesimo di secondo e il sincro flash a 1/250. L’evoluzione dell’elettronica coinvolge anche il software, permettendo una molteplicità di programmi di scatto e di esposizione e un notevole ampliamento delle funzioni elettroniche nonché delle relative indicazioni nel mirino. I nuovi obiettivi serie FA presentano la novità del Power Zoom (zoomata motorizzata) e un’elettronica ancora più evoluta, che comunica alla fotocamera anche la distanza di messa a fuoco, permettendo l’evoluzione dei programmi di scatto. Questa informazione può essere utile anche per capire il tipo di situazione e quindi regolare meglio l’esposizione a luce ambiente, ma soprattutto per dosare il flash. La Z1 è l’ammiraglia della serie Z che ripartirà tra i modelli di fascia inferiore solo alcune delle potenzialità del modello di punta di indirizzo professionale. Nel 1995 PENTAX torna ai suoi concetti originali, con una serie di reflex AF più compatte ed intuitive, con un design classicheggiante, denominata MZ, ad indicare l’unione tra la filosofia della serie “Miniature” con le tecnologie della serie Z. Il primo modello è la MZ-5, da molti vista come una reinterpretazione moderna della Spotmatic o della MX. È la prima reflex autofocus utilizzabile senza consultare il manuale da parte di chiunque abbia usato una fotocamera classica. Spicca l’utilizzo di una ghiera dei tempi e della compensazione dell’esposizione, soluzione oramai abbandonata, per design e per contenimento dei costi, dalle ultime generazioni di fotocamere, spiccatamente elettroniche. Anche per la serie MZ vengono introdotte nuove ottiche zoom FA più leggere rispetto ai corrispettivi della serie F.

Nel 1997 fu presentata la versione 645N, prima reflex medio formato autofocus. Sempre nel 1997, viene presentato il primo obiettivo della nuova serie di ottiche ultracompatte denominata Limited: un 43mm f/1,9 extrapiatto (pancake) che presenta la vera focale ideale, come perfetta diagonale del fotogramma 24x36mm. Questa serie, ultracompatta, offre anche una qualità costruttiva preclusa alle produzioni del tempo, orientate tutte alla comune e più economica plastica, e strizza l’occhio alle più professionali realizzazioni di ottiche di massimo livello. La qualità ottica è altrettanto elevata e ricercata.

Nel 2000 PENTAX dimostra ancora una volta la propria capacità di innovazione tecnologica, presentando la prima reflex digitale a pieno formato 24x36mm, con l’allora straordinaria risoluzione di 6 megapixel, più che doppia rispetto alla concorrenza dell’epoca. Si tratta del prototipo MR-52, ufficiosamente denominata MZ-D e in seguito nota anche come K-1. Purtroppo alcuni problemi di eccessivo consumo da parte del sensore fornito da terzi, unito ad un costo molto elevato e difficilmente proponibile sul mercato, consigliano di rinunciare all’affascinante e pionieristico progetto di lancio di una reflex digitale professionale Per non vanificare l’enorme lavoro sul corpo macchina, Pentax riesce a riconvertire il prototipo di digitale in una macchina analogica, la MZS, che ad oggi risulta una delle reflex a pellicola 35mm più evolute mai prodotte, ad un prezzo tuttavia proporzionato.

Pentax K10D
Nel 2003 la Pentax commercializzò la sua prima SLR Digitale con il nome *ist D, che usava un sensore CCD da 6 megapixel. Fedele alla sua tradizione la linea reflex digitale Pentax ha mantenuto la compatibilità con le lenti dotate di attacco tipo K e tramite anello adattatore con le ottiche con attacco a vite (M42) e con gli obiettivi dei sistemi 645 e 67.
Nel 2005 fu annunciato un accordo di collaborazione tecnica con la Samsung Techwin. In base all’accordo, Samsung forniva componenti elettronici a Pentax e Pentax forniva tecnologie e prodotti (reflex e obiettivi) a Samsung.
Nell’autunno del 2006 è stata commercializzata la K10D, DSLR da 10.2Mp effettivi,

tropicalizzata (protezione da acqua e polvere) e dotata di un dispositivo antivibrazione interno al corpo macchina che, a differenza delle DSLR Canon o Nikon, agisce direttamente sul sensore CCD e non sull’obiettivo. La K10D è inoltre predisposta per l’utilizzo di obiettivi con messa a fuoco tramite motore ad ultrasuoni (SDM). Nel 2007 la Pentax è stata impegnata solo in una serie di migliorie dei modelli già esistenti, con la K10D Grand Prix e la K100D Super mentre nel 2008 si è passati alla commercializzazione dei modelli successivi: l’ammiraglia K20D e la entry-level K200D. È del 2009 la presentazione della coppia K-7 e K-x, due reflex caratterizzate da dimensioni particolarmente compatte. La K-7 si fa notare per la silenziosità dello scatto,mentre la K-x spicca per la notevolissima resa (basso rumore e ampia gamma dinamica) alle alte sensibilità ISO [2]. Nel 2010, tra la K-x e la K-7 viene presentata la K-r, mentre la posizione di top di gamma del marchio viene occupata dalla K-5, molto apprezzata tra le fotocamere dotate di sensori APS-C[3]. Nel mese di dicembre 2010 è stata commercializzata anche in Europa la reflex di medio formato Pentax 645D da 40 megapixel con sensore CCD di formato 44x33mm, precedentemente disponibile solo sul mercato giapponese. Alla fine del 2013 Pentax presenta la K-3, dotata di sensore apsc da 24 megapixel, la migliore reflex della sua categoria [4]. Con la K3 Pentax si ripropone ancora come innovatrice nel mondo della fotografia introducendo l’inedita caratteristica della simulazione del filtro antialiasing tramite la vibrazione del sensore.
Dopo la K-3 è il turno della K-3 II che riprende molte delle funzionalità della precedente ma con qualche miglioria in più. Adesso, infatti, è possibile creare una versione ancora più nitida dell’immagine sfruttando sempre il movimento del sensore. Questa funzionalità si chiama Pixelshift Resolution. La macchina scatta quattro foto spostando il sensore di un singolo pixel in alto, in basso, a destra e sinistra combinandole in un’unica e più definita immagine. Oltre al Pixelshift Resolution, la nuova ammiraglia APS-C monta anche l’astrotracer ed il GPS di serie[5].

Nel 2016, Pentax annuncia la produzione della nuova entry level k-70 che riprende molte funzioni della sorella maggiore. Troviamo infatti il già citato Pixelshift Resolution, la tropicalizzazione e lo schermo basculante, oltre al pentaprisma e alla doppia ghiera dei comandi[6].

Sempre nel 2016 viene commercializzata la prima reflex digitale full frame che riprende il nome del primo esperimento digitale del 2000 non riuscito: K-1. Tra le innovazioni troviamo dei led guida che aiutano a cambiare le ottiche al buio o a posizionare il corpo macchina su di un treppiede

Proprietà
Nell’ottobre 2007 viene annunciata la fusione con la Hoya Corporation, uno dei principali produttori al mondo, insieme alla tedesca Schott AG, di vetri speciali ed ottici, già presente nel mercato fotografico con i marchi: Hoya (filtri), Tokina (ottiche universali 35mm) e Kenko (moltiplicatori di focale). Tale fusione fa seguito ad alcuni accordi attivi da circa due anni per lo scambio tra le due ditte dei design ottici. Il 31 marzo 2008 Pentax Corporation cessa ufficialmente di esistere come azienda indipendente, confluendo in Hoya Corporation (della quale costituisce la divisione imaging).

Il 1o luglio 2011, con un comunicato congiunto, Hoya ha annunciato la cessione alla Ricoh di

tutti gli asset a marchio Pentax relativi alla produzione di fotocamere, ottiche e accessori, videocamere di sorveglianza, binocoli[8]. La cessione, che secondo il quotidiano giapponese Nikkei ha un valore di circa 10 miliardi di yen (circa 85 milioni di euro)[9], si concluderà ed avrà quindi effetto dal mese di ottobre 2011[10].

Honeywell Pentax H3v
La Asahi esportò la propria produzione negli Stati Uniti sin dagli anni cinquanta ma questi vennero marchiati dall’importatore Honeywell come Heiland Pentax o Honeywell Pentax sino alla metà degli anni settanta. Solo successivamente la marca Pentax Corporation venne impressa negli USA e comunque diversi modelli assunsero una nomenclatura distinta per il mercato nord-americano (serie ZX, serie PZ). Solo pochi modelli vennero invece prodotti in esclusiva per il Giappone, fra tutti la Z-20p, alcune versioni speciali di LX, 645 e MZ-3. In Italia in occasione dei trentacinque anni della collaborazione con la API (allora distributore ufficiale Pentax nel paese) venne prodotta nel 1994 una versione speciale della K1000 (la K1000 Anniversary). Fra le versioni dimostrative meritano inoltre menzione la SFX, la Z1 e la Z10 con calotta trasparente e le famose LX e ME-F.

 

PARTE 2

Pentax PC-313

Il PC-313 è una macchina fotografica del 1991, è un punto di messa a fuoco automatico da 35 mm e scatta una fotocamera compatta di Pentax . Fa parte della serie di PC Pentax di fotocamere.
Usa un obiettivo da 3 mm 35 mm, f / 4,5. La messa a fuoco è automatica utilizzando un sistema di tipo a infrarossi. La distanza minima di messa a fuoco è 1,2 m. Il flash incorporato ha una GN di 10 con un tempo di ricarica di 6 secondi. Il trasporto del film è motorizzato e fa avanzare automaticamente il film. È compatibile con film 100, 200 e 400 ISO. L’alimentazione proviene da due batterie AA.

Pentax PC-313 (1991)

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PARTE 3

PENTAX

La Pentax è una delle più vecchie e prestigiose aziende nel settore fotografico.

Fondata nel 1919 a Tokyo, oggi appartiene invece alla Ricoh che è anche questa giapponese che l’ha acquistata nel 2011 dalla Hoya Corporation.

La Pentax può essere considerata l’azienda che ha maggiormente contribuito  allo sviluppo delle fotocamere reflex: a lei si devono infatti innovazioni come lo specchio a ritorno istantaneo, la misurazione esposimetro punto spot, esposimetro automatizzato TTL,l’esposizione automatica a priorità  dei diaframmi, la reflex autofocus e di intrattenimento antiriflesso multistrato.

Insomma,  la base di tutta la tecnologia che tutti i fotografi( professionisti e non) usufruiscono ogni giorno.

Il PC-313 è un punto di messa a fuoco automatico da 35mm ed è un classico esempio Point e Shooting.

Questi sono dispositivi completamente automatici pensati per essere utilizzati senza nessun problema per le impostazioni.

Con questa macchina Pentax l’utente non ha bisogno di impostare la velocità dell’otturatore o l’apertura, non deve essere consapevole della velocità della pellicola.

La Pentax PC-313 usa un obiettivo da 3 mm 35mm, f/4,5.

La messa a fuoco è automatica utilizzando un sistema di tipo infrarossi.

La distanza minima di messa a fuoco è 1,2m.

Il flash incorporato ha una GN di 10 con un tempo di ricarica di 6 secondi. 

Il trasporto della pellicola è motorizzato e la fa avanzare automaticamente.

È compatibile con pellicola 100,200 e 400 ISO.

L’alimentazione è data da due batterie AA.

PENTAX USATA DA CELEBRITÀ 

La Pentax è stata un brand di macchine  fotografiche  utilizzata da grandi celebrities a partire dagli anni 60.

Le reflex Asahi Pentax erano un vero e proprio fenomeno di costume.

I fotografi più in voga tra le star di Hollywood come Eve Arnold, nella moda come David Bailey e nel glamour come Sam Haskins usavano le Pentax e sono varie le foto che ritraevano(come si vede negli allegati) che ritraggono tutti i membri del celebre gruppo THE BEATLES con in mano Asahi Pentax mentre loro stessi scattano foto. 

Il successo procedeva a pari passo con l’evoluzione tecnica.

Nel 1966 la Asahi Optical aveva prodotto un milione di reflex dalla prima Asahiflex del 1952, e solo in tre anni se ne produssero un altro milione tutto questo dimostrava il grande successo del Brand. 

Alla Photokina del 1968 venne aperta una nuova strada, con la professionale Pentax 6×7.

Questo nuovo modello sembrava una reflex 35 mm ingrandita e si impugnava quasi altrettanto facilmente.

Usava sia pellicole a rullo formato 120 che 220 e fu un immediato successo,soprattutto fra i paesaggisti e fotografi di moda che finalmente potevano avere sul campo una qualità da studio.

La Pentax ha sempre offerto dei modelli di macchine fotografiche estremamente maneggevoli e di facile utilizzo amate sia dal pubblico maschile che femminile.

Il fatto che simboli della modernità come i BEATLES o i divi di Hollywood si facessero fotografare mentre loro stessi scattavano foto e mostravano un interesse che andava al di là della pubblicità mostrava il grande successo e la notevole importanza che aveva questo strumento arrivando a investire ambiti di cultura e anche di propaganda apparendo ad esempio nei giornali ma più di tutto grazie la sua facilità a maneggiarla e al suo costo economico permette anche ad una persona comune di  utilizzarla e sentirsi quindi fortunato a possederla come ai  grandi divi… 

La Pentax è una macchina fotografica che nonostante gli alti e bassi dal punto di vista economico infatti negli ultimi anni è stata venduta alla Ricoh un’altra casa di produzione giapponese è considerata una delle più buone e usata da un gruppo elevato di persone tutt’oggi infatti ogni anno in estate c’è una celebrazione con il PENTAX DAY,l’ultimo è stato celebrato a Viterbo.

[appunti di ricerca] Sony Video8 Handycam CCD-TR360E

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Irene Zoccolan



PARTE 1

Il sistema Video 8 della Sony era orientato all’utenza domestica e semiprofessionale. La serie Handycam possiede caratteristiche avanzate, ma allo stesso tempo è molto facile da usare e ideale per produrre video domestici.

Il successo e le dimensioni molto ridotte della videocamera resero il Video8 leader nel mercato dei

camcorder amatoriali.

La serie di Video8 Handycam si inseriva in un mercato e in un ambiente socio-economico di cui la Sony non era l’unica protagonista, ma in cui concorreva ad esempio con l’offerta della Kodak. 

Un articolo del 1984 del Washington Post presenta l’introduzione di un camcorder da parte della Eastman Kodak e le caratteristiche del mercato del video domestico/amatoriale in quegli anni. 

« Plunging into the fast-growing home video marketplace, Eastman Kodak Co. introduced yesterday a one-piece “camcorder” that combines a video camera and recorder based on a new 8mm videotape technology.

Home video has been one of the most robust segments of the consumer electronics industry in the last five years. Several experts project that more than 8 million VCRs will be in American households by 1985. In the first 51 weeks of 1983, more than 3.9 million VCRs were sold, representing a 101 percent increase over 1982 sales.

Moreover, sales of color home video cameras have closely tracked the growing sales of portable VCRs, with nearly half a million cameras sold in 1983–roughly a 40 percent increase over the preceding year. »

L’home video era un mercato su cui le aziende puntavano molto negli anni ‘80 visti i riscontri ed erano alte le aspettative di crescita per gli anni successivi. Kodak, Sony e altre si impegnavano quindi a produrre delle macchine che andassero sempre più incontro alle esigenze dei consumer, rendendole più semplici e comode, ma senza abbassarne la qualità.

PUBBLICITÀ

Attraverso la pubblicità di un prodotto (per la televisione, per il cartaceo, ecc.) si possono ricavare informazioni riguardo al target che l’azienda vuole raggiungere, all’ambiente socio-culturale di utilizzo e alle idee e valori creati attorno al prodotto affinché i clienti sino interessati a comprarlo.

Pubblicità 1 – Pubblicità 2 (link video su documento a parte)

“Ricordi quando…?” 

La Sony punta sulla possibilità di creare dei ricordi di famiglia e di poterli anche conservare e rivedere. Crea un legame affettivo con le immagini registrate, come per esempio con i filmini delle feste di compleanno o delle vacanze.

Pubblicità 3 

“Da Sony il più grande concentrato di tecnologie che abbiate mai tenuto in mano. La più leggera, la più piccola telecamera del mondo. Per filmare in libertà le tue vacanze, il tempo libero, lo sport. Sony Handycam, oggi è già domani.”

In questo caso viene esaltato l’aspetto tecnologico di qualità e d’avanguardia del prodotto rispetto alla concorrenza. Il fatto di poterla tenere in mano (e con una sola mano) per la sua leggerezza e le sue dimensioni ridotte è un punto centrale del marketing Sony, che vuole qui anche suggerire le pratiche e gli ambienti di utilizzo. 

Pubblicità 4

Con questa foto, proveniente da una rivista inglese, viene ribadita ironicamente la semplicità della macchina, che come si vede può essere usata persino da una scimmia.

Un’altra idea che si può cogliere è l’utilizzo di questa per registrare momenti della propria quotidianità (“il figlio” che va in bici), come fosse una tendenza innata dell’uomo che arriva sin dai suoi antenati.

Pubblicità 5

“Non aspettate il giorno in cui le altre saranno uguali”

Puntando di nuovo sul loro essere pionieri della nuova tecnologia, la Sony vuole anche aprirsi a un mercato amatoriale più ampio rispetto al settore domestico. Promuove quindi caratteristiche più ricercate, come la maggiore durata di registrazione, le dimensioni e il peso, che permettono più libertà di movimento e di ripresa.

Pubblicità 6

“La tv la fate voi”

Viene lanciato qui un nuovo slogan e una nuova provocazione al cliente. Sony Video8 Handycam dà la possibilità e la soddisfazione di girare i video, rivederli dal proprio televisore e così “creare” la propria tv in totale libertà.

Pubblicità 7

In questa pubblicità olandese della Sony, si ironizza sullo scontro tra i sistemi di videoregistrazione degli anni Ottanta: da una parte il nuovo sistema Video 8 (“revolutionary”, “smaller”), che vuole proclamarsi il nuovo standard internazionale, e dall’altra parte quello precedente più obsoleto e ingombrante, che viene sarcasticamente rappresentato da un sistema russo (“Russian video is big, not smaller!”). La Sony vuole dire che “più grande” non è necessariamente “meglio” e che si sente vincitrice già negli anni ’85-’86 di questa guerra con la concorrenza.

1990s UK Sony Magazine Advert

LINK

Articolo: “Kodak Unveils 8mm Video ‘Camcorder’”, Michael Schrage, 5 gennaio 1984, “The Washington Post”

https://www.washingtonpost.com/archive/business/1984/01/05/kodak-unveils-8mm-video-camcorder/df4e61da-cfc0-469f-8793-571fcfe79f14/?utm_term=.d571f70d4769

Pubblicità 1: Sony Handycam Video 8 – Pubblicità Italiana “Ricordi” #1 (1991)

https://www.youtube.com/watch?v=3Sgd-fsCx4M

Pubblicità 2: Sony Handycam Video 8 – Pubblicità Italiana “Ricordi” #2 (1991)

https://www.youtube.com/watch?v=xe4ICq9AhMc

Pubblicità 3: Sony Handycam CCD-M8 Video8 – Pubblicità italiana (1985)

https://www.youtube.com/watch?v=EoTQUr6YQrI

Pubblicità 4: Sony Handycam magazine advert, UK 1990s, “Scimmie”

http://www.advertisingarchives.co.uk/en/asset/show_zoom_window_popup.html?asset=25353&location=grid&asset_list=25353&basket_item_id=

Pubblicità 5: Sony Handycam Video8 CCD-M8E – Pubblicità italiana (1986)

https://www.youtube.com/watch?v=2-1MVXgixuk

Pubblicità 6: Sony Video8 Handycam – Pubblicità italiana (1989)

https://www.youtube.com/watch?v=ZKD3ggFc_GY

Pubblicità 7: Sony Video8 Commercial: United Nations Commercials (1985-1986)

https://www.hatads.org.uk/catalogue/record/0ff3a041-c635-4bbe-ba48-41d30a6143fc

[appunti di ricerca] Cinepresa Fujica Single 8 P400

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Caterina Cabrelli



PARTE 1

L’oggetto che ho deciso di prendere in esame è una cinepresa Fujica Single 8 P400 che appartiene a mio nonno. È dotata di una custodia in pelle nera con rifiniture rosse. Non è stata usata molto, infatti è perfettamente funzionante e in ottime condizioni. Al suo interno ho trovato un rullino, che però è usurato, probabilmente dal tempo. 

Vista l’impossibilità di sviluppare la pellicola, per far vedere come funziona, e che rumore fa, ho deciso di riprendere la cinepresa con il mio cellulare, mentre è in funzione. 

La cinepresa viene lanciata sul mercato nel 1972 dalla Fuji, compagnia multinazionale giapponese specializzata in strumenti fotografici e video. Viene prodotta dal luglio del 1972 fino a maggio del 1977.  

È dotata di un focus manuale e di uno zoom sia automatico che manuale. Funziona grazie a 4 batterie stilo e pesa 850 grammi, con le batterie inserite. Le sue dimensioni sono 53mm x 169mm x 181mm. 

 Il  suo prezzo di mercato era di 39800 Yen, che corrispondono a circa 300 €. Oggi si può trovare sui siti online, come Ebay, per un valore che va dai 50 ai 80 €. 

 

Purtroppo online si trovano poche informazioni e pochi blog che parlano di essa, e non possiedo il manuale di istruzioni perché è stato perso. Non ho trovato locandine e poster pubblicitari su internet e credo che l’ostacolo maggiore sia l’età dello strumento. 

DIARIO DI BORDO 

13 aprile 2018

Ho iniziato il lavoro di ricerca delle varie informazioni su siti internet come ebani, per vedere il suo valore di mercato attuale. Ho cercato i dati tecnici sul sito ufficiale della Fuji, ma purtroppo non ho avuto molti riscontri. Su altri siti sono riuscita a trovare dei dati tecnici, che mi hanno aiutato a capire un po’ come funziona la cinepresa. 

Ho fatto le foto all’oggetto e alle sue varie componenti.

27 aprile 2018 

Dopo essere andata a comprare 4 batterie stilo, le ho inserite nell’apposito spazio, ed ho scoperto che la cinepresa funziona benissimo. Inserisco la pellicola al suo interno e registro, attraverso un microfono della quale sono in possesso, un Samson Meteor Mic, il suono che fa quando è in funzione e quando apro lo sportello per l’inserimento della pellicola. Provo a  cercare dati riguardanti il numero di matricola che trovo al suo esterno ma non trovo nessun riscontro. Su Youtube trovo video che mostrano il funzionamento di cineprese simili alla mia, ma non dello stesso modello. 

28 aprile 2018

Oggi ho ripreso la cinepresa all’esterno con il mio cellulare, iPhone Se ed ho finito di ultimare questa relazione. 

PARTE 3 

SCOMPOSIZIONE

In questa fase, quella della scomposizione del mio oggetto, una cinepresa Fujica Single 8 P400, ho deciso di non smontarla fisicamente visto che su internet non ho trovato alcun video esplicativo riguardante il mio modello specifico.

Per scassinarlo ho deciso di usare il disegno. Con un block notes e una matita ho ricreato le parti dell’oggetto maggiormente interessanti. 

La cinepresa è formata principalmente da plastica, con zigrinature e spessori diverse; vetro come nelle lenti o negli “oblò” laterali che permettono la visione dell’avanzamento della pellicola; la finta pelle, della custodia; vari metalli, tra cui acciaio, delle componenti che richiedono maggior resistenza e che non devono usurasi nel tempo. 

Ho deciso di iniziare la scomposizione, attraverso il disegno, con la rappresentazione del manico e del laccio. Fatto in plastica in parte zigrinata e in parte no, il manico serve al soggetto che utilizza la cinepresa, a tenerla in mano e livello dello sguardo. Il laccio, ricoperto in un materiale plastico,

ha una funzione di sicurezza. Quando si utilizza la cinepresa lo si mette attorno al polso, e in caso di urti e conseguente perdita della presa, il laccio non la fa cadere a terra.   

Ho proseguito con la rappresentazione delle mascherine esterne, entrambe in plastica con elementi in acciaio e vetro. Sul lato sinistro è presente “l’oblò” per la visione dello scorrimento del nastro e la chiave di apertura dello sportello per l’inserimento della pellicola. In quello destro ci sono i tasti dello zoom automatico, la marca e il modello della cinepresa e un “oblò” con una scala numerica (in metri e in “feet”) che segnala i metri di pellicola ancora disponibili.  

La maschera in alluminio satinato posta nella parte anteriore dell’oggetto ha: la marca sulla parte superiore, su una parte in plastica; il tasto “ee lock”; lo spazio per la lente, con lo zoom manuale e il tappo in plastica; nella parte inferiore il tasto in plastica, a forma di grilletto, che ha la funzione di avviare e interrompere le riprese e sopra di esso un blocco di sicurezza, come la sicura nelle pistole, per impedire la “registrazione per sbaglio”. 

Ho rappresentato anche  la  pellicola e l’interno della cinepresa in cui essa va posizionata.

Foto rappresentativa del lavoro di scomposizione effettuata in questa fase.

Continuazione “Diario di bordo” – 

4 maggio 2018

Per il mio oggetto, per la terza fase del progetto, ho deciso di non aprire l’oggetto. Su internet non si trovano dei video che spieghino come si potrebbe smontare e rimontare l’oggetto e visto che non appartiene direttamente a me, ma a mio nonno, non voglio rischiare di romperlo e rovinarlo, visto che è ancora funzionante. 

Ho deciso di affrontare una scomposizione figurativa, attraverso il disegno su foglio, delle varie componenti. 

Caratteristiche esteriori:

La prima caratteristica che colpisce fin da subito è il manico, che ricorda molto il calcio di una pistola. È fatto di plastica, colore nero, con la parte dietro liscia, mentre quella davanti zigrinata, per avere una preso più salda e non rischiare che l’oggetto scivoli. Il fatto che abbia un manico di quel tipo significa che dev’essere usata tenendola a livello dello sguardo. Ciò la rende più maneggevole e maggiormente fruibile. 

Nel cercare gli elementi interni che la compongono, su vari siti internet, sono ricaduta in una pagina che mostra le varie componenti di una cinepresa Fujica single 8, ma di un modello diverso, la p300. 

Per rappresentare le varie componenti ho deciso di disegnarle, su dei fogli bianchi e poi comporli, e magari ricomporli, per cercare di dare nuova vita a questa cinepresa. 

12 maggio

Dopo aver cercato su internet un’esploso della cinepresa e non avendolo trovato del mio modello ma di uno simile, decido di disegnare su un block notes le varie componenti della stessa. 

13 maggio

Ho continuato a disegnare le componenti della cinepresa e mi sono dedicata alla parte scritta, alle foto e riprese dei disegni. 

[appunti di ricerca] SEIKO YUNON ROYAL II

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Beatrice Vecchio



PARTE 2

La Royal-II è una macchina fotografica prodotta dalla Yunon Optical Company Limited, realizzata a Taiwan. La società è stata fondata a Pei Tou, nella zona periferica di Taiwan nel 1974. Il marchio Yunon è stato brevettato in America nel 1984; in quell’anno esistevano quattro grandi aziende negli Stati Uniti, che producevano 35mm molto economici. Erano Formosa Plastics Corportation (FPC), Yunon Optical Company, New Taiwan Photographic Corportation (Ouyama 1982) e A.V. Lavec (1978), la quale produceva anche strumenti e attrezzatura da cucina.
Le fotocamere erano tutte diverse, ma gli obiettivi tutti uguali. Ciò può suggerire che (a) le lenti, l’otturatore e l’apertura erano state assemblate da una sola compagnia; oppure (b) questo suggerisce che i componenti sono stati creati da una compagnia e assemblati con gli altri, o (c) le camere erano state ordinate da una compagnia e poi marchiate e distribuite da altri.
Apparentemente, questa compagnia è responsabile per il noto 50mm “new/color optical Lens cameras”, nato nel 1980. Alcuni erano degli omaggi promozionali realizzati con Time Magazine Camera ( http://camera-wiki.org/wiki/Yunon)

Questo oggetto tecnologico è definito come compatto, in quanto la messa a fuoco è automatica così come l’avvolgimento e riavvolgimento. La pellicola ha una misura di 24x36mm e le lenti di 50mm 1:6:3. Le batterie sono di tipo “AA” e la velocità dell’otturatore è di 1/125 sec. La distanza per scattare fotografie va da 3ft a 10ft. Le dimensioni della macchina fotografica sono 163mm (L) x 104mm (H) x 108mm (W). Queste spiegazioni tecniche sono riportate sulla scatola di cartone, mentre le istruzioni sono su un foglio di plastica ripiegato.
Esiste il flash attaccabile, Yunon YN – 14 (made in Taiwan). Le istruzioni per l’utilizzo del flash sono all’interno della scatola, su un piccolo foglio ripiegato. Le batterie sono “AA” tipo pentite, sul dorso del flash c’è un bottone per accendere e spegnere e una piccola lampadina di colore rosso. Sempre sul dorso sono riportate le istruzioni della luminosità del flash.
Riguardo a questa macchina non si trovano testimonianze, scritte e/o orali, o articoli, probabilmente questo dispositivo non ha avuto successo o si potrebbe dedurre che sia una serie di dispositivi a commercio limitato, in quanto esistono anche la Royal I e Royal III.

All’interno della scatola che contiene la fotocamera, ho notato questo foglietto, molto simile a una ricevuta. Ho parlato con mio padre e ho scoperto che questa macchina fotografica era in omaggio qualora ci si iscriveva a dei periodici settimanali della Rizzoli. Perciò, ricollegando il fatto che in America questo dispositivo sia stato un omaggio promozionale, e anche qua in Italia si è adottata la stessa idea di marketing, pur di vendere, le mie ipotesi permangono: la macchina fotografica Royal II è stato un flop oppure è una serie limitata? Per arrivare fino in Italia, come omaggio per una rivista, mi viene da pensare che la prima questione possa essere affermativa. Non mi fermo a questo, però. Ho fatto alcune ricerche e sono capitata su un sito cinese, che ho dovuto tradurre con l’utilizzo di Google Traduttore, e ho notato alcune cose. Il blogger di questo sito cinese parla di averla trovata a casa di un suo padre, durante il Capodanno cinese. Il ragazzo crede che sia impensabile poter padroneggiare questa fotocamera senza una conoscenza di base della fotografia. Anche il blogger si lamenta che su Internet non si trovi alcuna informazione riguardante il dispositivo elettronico, ma c’è solo un manuale sottile all’interno della scatola. Inoltre, afferma che l’utilizzo dei materiali siano di basso costo e che è sicuramente stata una macchina economica, anche perché è una macchina automatica e intuitiva dato che è possibile impostare solo l’apertura del diaframma, ma ciò indiscutibilmente rende l’utilizzo meccanico in quanto i risultati non sono ottimali: l’otturatore è fissato per 1/125 secondi e l’apertura è di soli 6:3. Perciò, la macchina fotografica necessita sicuramente di molta luce per avere dei risultati luminosi e dettagliati. La luce non è sufficiente poiché l’apertura non è abbastanza grande, l’otturatore troppo veloce ed è difficile apportare regolazioni. Da quel che scrive il ragazzo, è possibile scattare solo di giorno, perché sennò lo sfondo diventa nero e le figure vengono opacizzate. Grazie al flash, però, è possibile regolare con cura l’apertura del diaframma, e le fotografie vengono sicuramente più chiare. Il blogger, poi, scrive di aver fatto un ultimo test con questa macchina fotografica prima di chiuderla nuovamente nella scatola poiché per niente soddisfatto: ha utilizzato un film negativo di 100 (gradi?) della Fuji, riportando nel blog le foto scattate e dice che sembrano quasi sbiadite. Afferma che è impossibile mettere a fuoco persone lontane, bisogna stare a una distanza fissa pur di rendere la composizione dettagliata.
Guardando le foto che ha postato sul sito, non sono della sua stessa opinione. Le fotocamere degli anni ’70-’80 hanno indubbiamente la caratteristica di avere un effetto sbiadito, sfocato, e non mi sembra, a mio avviso, così brutale il risultato. Le persone in primo piano si vedono bene, anche quelle in secondo e così via, certamente non è una qualità HD di oggigiorno, ma per essere stata una macchina economica, e un probabile disastro, non mi lamenterei, ma forse è l’amore per il vintage che mi spinge a dire ciò. Il problema della luce è abbastanza ovvio: ancora oggi esistono delle versioni modernizzate di macchine fotografiche vintage, come quelle rivendute dalla lomography.com, che hanno lo stesso identico problema. È la macchina analogica. Non possiamo pretendere molto. In ogni caso, troverò sempre affascinanti questi effetti, queste fotografie, queste peculiarità perché mi portano a tempi che non ho vissuto, provando una certa malinconia, e a quando da piccola usavo le macchine usa e getta e mi sentivo una professionista del settore.

Come ha fatto una macchina fotografica economica cinese arrivare fino agli Stati Uniti d’America per poi distribuirla anche in territorio italiano? Tutto ebbe inizio nel 1971 quando venne inaugurata la cosiddetta «diplomazia del ping pong», cioè l’entrata della squadra americana in Cina per sfidare gli avversari cinesi a ping pong. Il presidente americano Richard Nixon, allora in carica, incontro Mao Zedong, il dittatore comunista, e poi, per ben nove incontri il premier di quegli anni Zhou Enlai. Andò per il meglio e al termine del viaggio venne firmato lo «Shanghai Communiqué», nel quale gli Usa affermavano di «riconoscere una sola Cina e che Taiwan fa parte della Cina». Gli Usa avevano avuto solo rapporti diplomatici con Taiwan, dove si erano rifugiati i nazionalisti dopo lo sconto con i comunisti. Nel 1979 Cina e Usa istituiscono rapporti diplomatici completi, ma per far avvenir ciò gli Stati Uniti interrompono le relazioni con Taiwan, pur impegnandosi a difenderla militarmente dalla Cina. In quell’anno, la Repubblica di Cina, inaugurata nel 1949, aveva iniziato a sostenere la Repubblica Popolare Cinese, tanto che il partito KMT perse il seggio alle Nazioni Unite. Sempre in quell’anno, gli attivisti cercarono di attirare l’attenzione dei media nazionali per contestare sulle condizioni dei cittadini taiwanesi sotto la linea politica dei nazionalisti. La protesta venne repressa dalla polizia.
Nel 1989, la Cina si ritrovò esclusa dal resto del mondo. Il presidente americano Bush decise per le sanzioni contro la Cina, affermando che in un futuro sarebbero tornati a trattare. La Cina si era appena aperta a investimenti e al mercato, e negli Usa avevano compreso l’importanza strategica con la Cina non solo in funzione anti-sovietica, ma anche in tema economico globale. Il mondo del business spingeva per una ripresa delle relazioni, in modo da non rimanere indietro rispetto ad altri Paesi. Passarono dodici anni prima che America e Cina riprendessero relazioni economiche ufficiali e libere. L’importanza storica fu grande: per la Cina si sarebbe trattato del periodo iniziale di una crescita fino a farla diventare tra le più grandi potenze economiche mondiali.

La Royal-II è una macchina fotografica conveniente per persone che non hanno voglia di pensare ad apertura, ISO e altre funzioni fotografiche. Un dispositivo alla portata di tutti, ma che fa venire i brividi ai conoscitori di macchine analogiche. Probabilmente è stata pensata per un ceto basso-medio, per chi è alle prime armi con l’analogico e per chi non ha mai visto una fotocamera. Di fatti non è impegnativa, non è pesante perché di plastica e i lacci sono utili per portarla ovunque si vada. Può essere anche interessante da un certo punto di vista, in quanto i meno esperti possono cimentarsi in un’esperienza nuova e diversa rispetto a quella che si vive ora. L’analogico avrà sempre quel fascino del vintage, di un’epoca passata che vive tutt’oggi, ma naturalmente è molto più complicato che del digitale. I ragazzi, come me, si trovano in una posizione spaesata e emarginata quando si parla di analogico perché è diversa la gestualità, la manualità, dello scattare una fotografia nei confronti di un device digitale. Rimarrà l’interesse per il vintage perché affascina, tiene sospesi in un tempo realistico ma passato, che non si potrà più rivivere, lo charme e il design di un’epoca ormai trascorsa rende un piacere l’immaginazione di scoprire l’uso che se ne faceva e l’oggetto stesso.

Di questa macchina fotografica, purtroppo, non è venuto a galla molto. Non ho trovato numeri di matricola, non ho trovato nessuna pubblicità o articolo a riguardo, ma solo poche recensioni dei nostri giorni o amateur vintage che la vendono per pochi soldi su ebay. Mi sorge sempre più il dubbio che sia stato un totale disastro, in quanto, parlando con mio padre, sono a venuta a sapere che la macchina non ha mai funzionato; forse è questo dispositivo difettoso, chissà. Ho cercato le pile adatte, ho inserito il rullino, ho provato a fare qualche scatto, ma ogni volta che si riavvolge la pellicola si sente un rumore frastornante, come se qualcosa si fosse inceppato all’interno. Mio padre si ricorda di questo rumore, indimenticabile, ti perfora i timpani, e credo proprio che il problema persista. Vedrò di guardare all’interno del dispositivo, come un’operazione di anatomia, ma questo riguarda un altro capitolo dell’inchiesta.

 

 

SITOGRAFIA:
http://camera-wiki.org/wiki/Yunon
http://blog.xuite.net/whitemango/268/11491455
https://flic.kr/p/2VBTmH
https://eastwest.eu/it/opinioni/sogno-cinese/storia-diplomazia-stati-uniti-cina-incontri-presidenti

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PARTE 3

Modulo A 

EREDITÀ EMOTIVA

L’oggetto preso in questione è una macchina fotografica, la SEIKO YUNON ROYAL II. Questo dispositivo mediale è arrivato a me quando, anni fa, avevo la fissazione di collezionare macchine fotografiche ritenute vintage. Sul mobile di camera mia ne conto cinque e la scelta di portare questa come oggetto d’inchiesta è stata spontanea. 

Appartiene a mio nonno paterno; parlando con mio padre, ho scoperto che l’utilizzo di questo oggetto è stato insignificante perché, a quanto pare, non ha mai funzionato a dovere. 

Mio nonno è sempre stato un artista, anche se aveva la testa squadrata da ufficiale militare, però c’era qualcosa dell’arte che lo affascinava. Non credo di aver mai visto fotografie fatte da lui, neanche mi ricordo di averlo mai visto con una macchina fotografica tra le mani, ma quando gli ho chiesto, anni fa, se aveva su qualche scaffale polveroso un qualsiasi dispositivo vintage si era ricordato all’istante di questo. Questa fotocamera non l’ho usata fino ad oggi, un po’ perché non sono brava con l’analogico e un po’ perché so che ci teneva. 

Non essendo stata usata molto, la macchina fotografica è rimasta intatta, senza segni di usura, quasi come se il tempo non l’avesse toccata; forse è per questo che mi ha sorpreso e l’ho scelta. Il tempo che passa, distrugge, genera, fa invecchiare e questa fotocamera, nera come la pece, lucida, è rimasta tale da quando è stata prodotta. Che avesse vinto sul tempo? Mentre mio nonno invecchia e la malattia continua imperterrita, forse il dispositivo mi ricorda tempi in cui l’arte di nonno scorreva ancora nelle vene e l’aria di casa sapeva di note del pianoforte a muro e di acrilici, invece di medicine e di chiuso.

L’ho scelta anche perché non sono mai riuscita a darle un anno preciso. Si vede che non è degli anni 2000, ma mi sono sempre chiesta se fosse degli anni ’70, ’80 o addirittura ’90. Come detto: è senza tempo. 

Modulo B 

INCHIESTA ARCHIVIALE 

La Royal-II è una macchina fotografica prodotta dalla Yunon Optical Company Limited, realizzata a Taiwan. La società è stata fondata a Pei Tou, nella zona periferica di Taiwan nel 1974. Il marchio Yunon è stato brevettato in America nel 1984; in quell’anno esistevano quattro grandi aziende negli Stati Uniti, che producevano 35mm molto economici. Erano Formosa Plastics Corportation (FPC), Yunon Optical Company, New Taiwan Photographic Corportation (Ouyama 1982) e A.V. Lavec (1978), la quale produceva anche strumenti e attrezzatura da cucina.

Le fotocamere erano tutte diverse, ma gli obiettivi tutti uguali. Ciò può suggerire che (a) le lenti, l’otturatore e l’apertura erano state assemblate da una sola compagnia; oppure (b) questo suggerisce che i componenti sono stati creati da una compagnia e assemblati con gli altri, o (c) le camere erano state ordinate da una compagnia e poi marchiate e distribuite da altri. 

Apparentemente, questa compagnia è responsabile per il noto 50mm “new/color optical Lens cameras”, nato nel 1980. Alcuni erano degli omaggi promozionali realizzati con Time Magazine Camera.

Questo oggetto tecnologico è definito come compatto, in quanto la messa a fuoco è automatica così come l’avvolgimento e riavvolgimento. La pellicola ha una misura di 24x36mm e le lenti di 50mm 1:6:3. Le batterie sono di tipo “AA” e la velocità dell’otturatore è di 1/125 sec. La distanza per scattare fotografie va da 3ft a 10ft. Le dimensioni della macchina fotografica sono 163mm (L) x 104mm (H) x 108mm (W). Queste spiegazioni tecniche sono riportate sulla scatola di cartone, mentre le istruzioni sono su un foglio di plastica ripiegato. 

Esiste il flash attaccabile, Yunon YN – 14 (made in Taiwan). Le istruzioni per l’utilizzo del flash sono all’interno della scatola, su un piccolo foglio ripiegato. Le batterie sono “AA” tipo pentite, sul dorso del flash c’è un bottone per accendere e spegnere e una piccola lampadina di colore rosso. Sempre sul dorso sono riportate le istruzioni della luminosità del flash. 

Riguardo a questa macchina non si trovano testimonianze, scritte e/o orali, o articoli, probabilmente questo dispositivo non ha avuto successo o si potrebbe dedurre che sia una serie di dispositivi a commercio limitato, in quanto esistono anche la Royal I e Royal III.

All’interno della scatola che contiene la fotocamera, ho notato questo foglietto, molto simile a una ricevuta. Ho parlato con mio padre e ho scoperto che questa macchina fotografica era in omaggio qualora ci si iscriveva a dei periodici settimanali della Rizzoli. Perciò, ricollegando il fatto che in America questo dispositivo sia stato un omaggio promozionale, e anche qua in Italia si è adottata la stessa idea di marketing, pur di vendere, le mie ipotesi permangono: la macchina fotografica Royal II è stato un flop oppure è una serie limitata? Per arrivare fino in Italia, come omaggio per una rivista, mi viene da pensare che la prima questione possa essere affermativa. Non mi fermo a questo, però. Ho fatto alcune ricerche e sono capitata su un sito cinese, che ho dovuto tradurre con l’utilizzo di Google Traduttore,  e ho notato alcune cose. Il blogger di questo sito cinese parla di averla trovata a casa di un suo padre, durante il Capodanno cinese. Il ragazzo crede che sia impensabile poter padroneggiare questa fotocamera senza una conoscenza di base della fotografia. Anche il blogger si lamenta che su Internet non si trovi alcuna informazione riguardante il dispositivo elettronico, ma c’è solo un manuale sottile all’interno della scatola. Inoltre, afferma che l’utilizzo dei materiali siano di basso costo e che è sicuramente stata una macchina economica, anche perché è una macchina automatica e intuitiva dato che è possibile impostare solo l’apertura del diaframma, ma ciò indiscutibilmente rende l’utilizzo meccanico in quanto i risultati non sono ottimali: l’otturatore è fissato per 1/125 secondi e l’apertura è di soli 6:3. Perciò, la macchina fotografica necessita sicuramente di molta luce per avere dei risultati luminosi e dettagliati. La luce non è sufficiente poiché l’apertura non è abbastanza grande, l’otturatore troppo veloce ed è difficile apportare regolazioni. Da quel che scrive il ragazzo, è possibile scattare solo di giorno, perché sennò lo sfondo diventa nero e le figure vengono opacizzate. Grazie al flash, però, è possibile regolare con cura l’apertura del diaframma, e le fotografie vengono sicuramente più chiare. Il blogger, poi, scrive di aver fatto un ultimo test con questa macchina fotografica prima di chiuderla nuovamente nella scatola poiché per niente soddisfatto: ha utilizzato un film negativo di 100 (gradi?) della Fuji, riportando nel blog le foto scattate e dice che sembrano quasi sbiadite. Afferma che è impossibile mettere a fuoco persone lontane, bisogna stare a una distanza fissa pur di rendere la composizione dettagliata.

Guardando le foto che ha postato sul sito, non sono della sua stessa opinione. Le fotocamere degli anni ’70-’80 hanno indubbiamente la caratteristica di avere un effetto sbiadito, sfocato, e non mi sembra, a mio avviso, così brutale il risultato. Le persone in primo piano si vedono bene, anche quelle in secondo e così via, certamente non è una qualità HD di oggigiorno, ma per essere stata una macchina economica, e un probabile disastro, non mi lamenterei, ma forse è l’amore per il vintage che mi spinge a dire ciò. Il problema della luce è abbastanza ovvio: ancora oggi esistono delle versioni modernizzate di macchine fotografiche vintage, come quelle rivendute dalla lomography.com, che hanno lo stesso identico problema. È la macchina analogica. Non possiamo pretendere molto. In ogni caso, troverò sempre affascinanti questi effetti, queste fotografie, queste peculiarità perché mi portano a tempi che non ho vissuto, provando una certa malinconia, e a quando da piccola usavo le macchine usa e getta e mi sentivo una professionista del settore. 

Come ha fatto una macchina fotografica economica cinese arrivare fino agli Stati Uniti d’America per poi distribuirla anche in territorio italiano? Tutto ebbe inizio nel 1971 quando venne inaugurata la cosiddetta «diplomazia del ping pong», cioè l’entrata della squadra americana in Cina per sfidare gli avversari cinesi a ping pong. Il presidente americano Richard Nixon, allora in carica, incontro Mao Zedong, il dittatore comunista, e poi, per ben nove incontri il premier di quegli anni Zhou Enlai. Andò per il meglio e al termine del viaggio venne firmato lo «Shanghai Communiqué», nel quale gli Usa affermavano di «riconoscere una sola Cina e che Taiwan fa parte della Cina». Gli Usa avevano avuto solo rapporti diplomatici con Taiwan, dove si erano rifugiati i nazionalisti dopo lo sconto con i comunisti. Nel 1979 Cina e Usa istituiscono rapporti diplomatici completi, ma per far avvenir ciò gli Stati Uniti interrompono le relazioni con Taiwan, pur impegnandosi a difenderla militarmente dalla Cina. In quell’anno, la Repubblica di Cina, inaugurata nel 1949, aveva iniziato a sostenere la Repubblica Popolare Cinese, tanto che il partito KMT perse il seggio alle Nazioni Unite. Sempre in quell’anno, gli attivisti cercarono di attirare l’attenzione dei media nazionali per contestare sulle condizioni dei cittadini taiwanesi sotto la linea politica dei nazionalisti. La protesta venne repressa dalla polizia. 

Nel 1989, la Cina si ritrovò esclusa dal resto del mondo. Il presidente americano Bush decise per le sanzioni contro la Cina, affermando che in un futuro sarebbero tornati a trattare. La Cina si era appena aperta a investimenti e al mercato, e negli Usa avevano compreso l’importanza strategica con la Cina non solo in funzione anti-sovietica, ma anche in tema economico globale. Il mondo del business spingeva per una ripresa delle relazioni, in modo da non rimanere indietro rispetto ad altri Paesi. Passarono dodici anni prima che America e Cina riprendessero relazioni economiche ufficiali e libere. L’importanza storica fu grande: per la Cina si sarebbe trattato del periodo iniziale di una crescita fino a farla diventare tra le più grandi potenze economiche mondiali. 

La Royal-II è una macchina fotografica conveniente per persone che non hanno voglia di pensare ad apertura, ISO e altre funzioni fotografiche. Un dispositivo alla portata di tutti, ma che fa venire i brividi ai conoscitori di macchine analogiche. Probabilmente è stata pensata per un ceto basso-medio, per chi è alle prime armi con l’analogico e per chi non ha mai visto una fotocamera. Di fatti non è impegnativa, non è pesante perché di plastica e i lacci sono utili per portarla ovunque si vada. Può essere anche interessante da un certo punto di vista, in quanto i meno esperti possono cimentarsi in un’esperienza nuova e diversa rispetto a quella che si vive ora. L’analogico avrà sempre quel fascino del vintage, di un’epoca passata che vive tutt’oggi, ma naturalmente è molto più complicato che del digitale. I ragazzi, come me, si trovano in una posizione spaesata e emarginata quando si parla di analogico perché è diversa la gestualità, la manualità, dello scattare una fotografia nei confronti di un device digitale. Rimarrà l’interesse per il vintage perché affascina, tiene sospesi in un tempo realistico ma passato, che non si potrà più rivivere, lo charme e il design di un’epoca ormai trascorsa rende un piacere l’immaginazione di scoprire l’uso che se ne faceva e l’oggetto stesso. 

Di questa macchina fotografica, purtroppo, non è venuto a galla molto. Non ho trovato numeri di matricola, non ho trovato nessuna pubblicità o articolo a riguardo, ma solo poche recensioni dei nostri giorni o amateur vintage che la vendono per pochi soldi su ebay. Mi sorge sempre più il dubbio che sia stato un totale disastro, in quanto, parlando con mio padre, sono a venuta a sapere che la macchina non ha mai funzionato; forse è questo dispositivo difettoso, chissà. Ho cercato le pile adatte, ho inserito il rullino, ho provato a fare qualche scatto, ma ogni volta che si riavvolge la pellicola si sente un rumore frastornante, come se qualcosa si fosse inceppato all’interno. Mio padre si ricorda di questo rumore, indimenticabile, ti perfora i timpani, e credo proprio che il problema persista. Vedrò di guardare all’interno del dispositivo, come un’operazione di anatomia, ma questo riguarda un altro capitolo dell’inchiesta.

Modulo C 

ANATOMIA ARCHEOLOGIA MEDIALE 

La Royal-II si presenta con un design semplice, morbido, al tatto piacevole perché il materiale è plastica e il corpo è molto liscio. Ha delle curvature per permettere una presa migliore e una posizione adeguata della mano e delle dita. Il colore è nero, le scritte bianche con diversi caratteri. L’obiettivo non è intercambiabile, sopra di esso c’è una finestrella che si può ruotare; su di essa dei disegni: un sole – soleggiato (apertura otturatore di 16), un sole a metà – poca luce (11), parzialmente soleggiato – quasi buio (8), nuvoloso – buio (6.3). 

Frontalmente si notano due mirini, uno squadrato e uno tondo, quest’ultimo è posto sopra l’obiettivo. 

Guardando la fotocamera da sopra si riconosce il flash, il bottone di riavvolgimento, il bottone di scatto, il vetro con l’avanzamento della pellicola, e poi il lunotto superiore. Molto particolare la decisione di questo lunotto poiché vi è un altro sul dorso della macchina fotografica, sopra la scocca della pellicola. 

La parte inferiore presenta le batterie. 

L’obiettivo al tatto è ruvido per una scelta manuale e di comodità in quanto essendo ruvido rende la presa molto più forte, permettendo così di non perdere la presa. 

Ai lati la macchina fotografica vi sono i ganci per il laccio per portarla al collo.

La scelta del materiale è stata di natura economica: facile da creare e di basso costo. Inoltre, oltre ad essere meno costosa e quindi facile da vendere sul mercato, la plastica è un significante per il commercio in quanto è adatta a tutte le persone. Non si rompe facilmente, non è delicata e non occorre fare particolarmente attenzione a questo materiale. 

Ho cercato di scomporla, ma non ho trovato dei cacciavite adatti e in più, imbranata come sono, non sarei più capace di ricomporla. Aprendo la scocca della pellicola, arriva al naso un odore di chiuso, di plastica e di vecchio. A sinistra lo spazio per il rullino, al centro la pellicola striscia sui dentini che la fanno scorrere per poi essere riavvolta su se stessa. 

SITOGRAFIA:

  http://camera-wiki.org/wiki/Yunon

– http://blog.xuite.net/whitemango/268/11491455

https://flic.kr/p/2VBTmH 

– https://eastwest.eu/it/opinioni/sogno-cinese/storia-diplomazia-stati-uniti-cina-incontri-presidenti

 

[appunti di ricerca] Polaroid

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Sveva Nistri



PARTE 1

La Polaroid Corporation nasce nel 1937, fondata dallo scienziato e inventore Edwin Land.

Studia a lungo la polarizzazione della luce (durante la Seconda Guerra Mondiale il suo team lavora anche a strumenti bellici, come occhiali per la visione notturna) -> si dice che sua figlia di 3 anni gli abbia chiesto perché le macchine fotografiche non producessero subito le foto -> 1947 nasce la polaroid, al tempo “Polaroid Land Camera” -> enorme successo in tutto il mondo (anche perché molto facile da usare -> spot pubblicitari sottolineano che “basta premere un pulsante”.
A colori -> 1963
Paese di produzione -> USA
Usata da personaggi importanti come Helmut Newton e Andy Warhol.

La Polaroid 1000 è un modello del 1977, uno di quelli di maggiore successo della compagnia. Modello ormai fuori produzione.

Facilmente trovabile su siti come Amazon ed Ebay a un prezzo che varia più o meno da 20 a 100 € -> più rara e quindi costosa la versione con il pulsante verde.


PARTE 2

La Polaroid Corporation nasce nel 1937, fondata dallo scienziato e inventore Edwin Land.
Studia a lungo la polarizzazione della luce, anche a scopi bellici – infatti durante la Seconda Guerra Mondiale il suo team lavora a strumenti come occhiali per la visione notturna.
Si dice che l’idea dietro all’invenzione della macchina fotografica ora nota come polaroid, però, sia dovuta alla figlia di Land, che a 3 anni sembra abbia chiesto perché le macchine fotografiche non producessero subito le foto. È così che nel 1947 nasce la polaroid, al tempo “Polaroid Land Camera”, che subito riscuote un enorme successo non solo in America, sua patria, ma in tutto il mondo. La fama della macchina è dovuta soprattutto alla facilità d’utilizzo, che gli spot pubblicitari esaltano – “basta premere un pulsante”. È un oggetto indirizzato a qualsiasi ceto sociale, dal più ricco al più modesto, perché economico; anche questo fattore è sottolineato dalla pubblicità, che spesso mostra la polaroid in mano a famiglie.

Nel 1963 viene inventata la versione con stampa a colori, che insieme a quella in bianco e nero viene usata da personaggi importanti come Helmut Newton e Andy Warhol.

La Polaroid 1000 è un modello del 1977, uno di quelli di maggiore successo della compagnia, tuttavia ormai fuori produzione.
È facilmente trovabile su siti come Amazon ed Ebay a un prezzo che varia più o meno da 20 a 100 €; i collezionisti si interrogano su quale sia la versione più rara e quindi più costosa, che molti convengono essere la Polaroid 1000 dal pulsante verde.

Per quanto riguarda le pubblicità, ne ho veramente parecchie. Ecco i link:

E queste 3 in francese:

[appunti di ricerca] Motorola V550

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Sara Traunero

PARTE 1

LINK:

https://www.hwupgrade.it/forum/archive/index.php/t- 863746.html 

https://puntocellulare.it/schede-cellulari/motorola/motorola_v550.html

http://www.tecnozoom.it/cellulari/motorola-v550.html#refresh_ce

https://it.wikipedia.org/wiki/Motorola

APPUNTI:

Per questo progetto ho deciso di prendere in esame un oggetto a cui mi sento molto legata, ovvero il mio primo telefono cellulare.

Motorola V550 è un telefonino del 2004, che monta una fotocamera di 0.3 MP e ha una memoria di 5MB, prevede una batteria da 780mAh e 230 ore di standby o 540 minuti di conversazione, Offre un display a colori con 176 x 220 pixel di risoluzione. Motorola V550, inoltre, adotta bluetooth, vivavoce e lettore MP3. E’ privo di memoria espandibile. All’interno della confezione troviamo tutto l’indispensabile: il telefonino, la batteria al litio e relativo copribatteria, auricolare a filo, libretto di istruzioni e guida rapida in italiano e garanzia. Sono invece assenti cavetto dati o chiavetta bluetooth e software per la gestione del cellulare da pc.

Alla data di uscita la sua fascia di prezzo si trovava tra i 260 e i 300 euro; oggi lo troviamo in vendita su internet a prezzi estremamente bassi (per esempio, su amazon.it il prezzo è di 12,99 euro).

Il Motorola V550 è il successore del Motorola v525, al quale, rispetto al modello successivo, mancava la funzionalità dei videoclip e la risoluzione di alcuni bug. La novità di questo modello, dunque, consiste fondamentalmente nella possibilità di catturare, scaricare e guardare filmati a colori, oltre a quella di  scattare una foto con la fotocamera integrata  e inviare un messaggio (sms) con foto. Queste opzioni, che oggi ci appaiono del tutto ovvie e ormai decisamente superate, erano all’epoca una novità assoluta , per non dire sorprendente, nel campo della tecnologia: le evoluzioni e i cambiamenti avvenuti nel giro di poco più di un decennio in campo tecnologico (e in particolare della telefonia) ci portano inevitabilmente a considerare come questo mondo abbia compiuto in breve tempo degli enormi passi avanti.

ALCUNI APPUNTI SULLA STORIA DELLA MOTOROLA:

Motorola Inc. è stata inizialmente un’azienda statunitense di elettronica produttrice di microprocessori, orologi, telefoni cellulari, nonché di innumerevoli tipologie di componenti elettronici, adatti per svariate applicazioni, dai diodi ai circuiti integrati. La sede è a Schaumburg, Illinois, un sobborgo di Chicago. Nel 2011 la Motorola Inc. come entità unica, ha cessato di esistere, perché è stata divisa in due società distinte: la Motorola Solutions e la Motorola Mobility. Nell’agosto dello stesso anno quest’ultima è stata acquistata da Google Inc. Il suo nome originale, al momento della fondazione nel 1928, era Galvin Manufacturing Corporation, che fu poi cambiato in “Motorola” nel 1947. L’azienda vide apparire la denominazione Motorola come nome di una nuova linea di autoradio (motor = automobile, ola = suono ), dal marchio di una famosa azienda di apparecchi radio, Victrola. Durante la seconda guerra mondiale fu produttrice di apparecchi riceventi e ricetrasmittenti per le forze armate americane, acquisendo brevetti che la rendono ancor oggi una delle società più importanti nel settore delle ricetrasmittenti per uso professionale. I primi telefoni cellulari Motorola apparvero in Italia intorno alla prima metà degli anni novanta del XX secolo.

PARTE 2

DESCRIZIONE DELL’OGGETTO

Per questo progetto ho deciso di prendere in esame un oggetto al quale mi sento molto legata, ovvero il mio primo telefono cellulare.

Motorola V550 è un telefonino del 2004, che monta una fotocamera di 0.3 MP e ha una memoria di 5MB, prevede una batteria da 780mAh e 230 ore di standby o 540 minuti di conversazione, Offre un display a colori con 176 x 220 pixel di risoluzione. Motorola V550, inoltre, adotta bluetooth, vivavoce e lettore MP3. E’ privo di memoria espandibile. All’interno della confezione troviamo tutto l’indispensabile: il telefonino, la batteria al litio e relativo copribatteria, auricolare a filo, libretto di istruzioni e guida rapida in italiano e garanzia. Sono invece assenti cavetto dati o chiavetta bluetooth e software per la gestione del cellulare da pc.

Alla data di uscita la sua fascia di prezzo si trovava tra i 260 e i 300 euro; oggi lo troviamo in vendita su internet a prezzi estremamente bassi (per esempio, su amazon.it il prezzo è di 12,99 euro). Tale prezzo era all’epoca (e lo sarebbe a detta di molti anche al giorno d’oggi) abbastanza elevato per l’acquisto di un telefono cellulare, sia pure di un modello moderno ed innovativo come questo; questo sta ad indicare che l’acquisto di un oggetto simile veniva effettuato da una fascia di popolazione mediamente agiata.

Il Motorola V550 è il successore del Motorola v525, al quale, rispetto al modello successivo, mancava la funzionalità dei videoclip e la risoluzione di alcuni bug. La novità di questo modello, dunque, consiste fondamentalmente nella possibilità di catturare, scaricare e guardare filmati a colori, oltre a quella di  scattare una foto con la fotocamera integrata  e inviare un messaggio (sms) con foto. Queste opzioni, che oggi ci appaiono del tutto ovvie e ormai decisamente superate, erano all’epoca una novità assoluta , per non dire sorprendente, nel campo della tecnologia: le evoluzioni e i cambiamenti avvenuti nel giro di poco più di un decennio in campo tecnologico  (e in particolare della telefonia) ci portano inevitabilmente a considerare come questo mondo abbia compiuto in breve tempo degli enormi passi avanti.

 …ALCUNI APPUNTI SULLA STORIA DELL’AZIENDA “MOTOROLA”…

Il suo nome originale, al momento della fondazione nel 1928, era Calvin Manufacturing Corporation, che fu poi cambiato in Motorola  nel 1947. L’azienda vide apparire la denominazione Motorola come nome di una nuova linea di autoradio (motor=automobile , ola=suono), dal marchio di una famosa azienda di apparecchi radio, Victrola. Durante la seconda guerra mondiale fu produttrice di apparecchi riceventi e ricetrasmittenti per le forze armate americane, acquisendo brevetti che la rendono ancor oggi una delle società più importanti nel settore delle ricetrasmittenti per uso professionale.

La Motorola sviluppò anche il sistema di identificazione tramite riconoscimento biometrico AFIS. 

Uno dei microprocessori prodotti, il 68000 del 1982, fu alla base di molti computer e prodotti elettronici, fra cui i primi Apple Macintosh, i computer Amiga, Atari ST e altri, tra i quali anche i minicomputer classe linea 3000 Olivetti. 

L’azienda forse fu maggiormente conosciuta sul mercato come produttrice di telefoni cellulari. Il primo telefono cellulare portatile perfettamente funzionante venne realizzato nel 1973 dall’ingegnere americano Martin Cooper per conto di Motorola: questo apparecchio, denominato commercialmente Motorola DynaTAC, fu il primo cellulare riconosciuto dalla FCC nel 1983. 

Il 6 ottobre 2003 Motorola annunciò lo scorporo delle attività relative ai semiconduttori e la creazione di Freescale Semiconductor, Inc., società alla quale fu ceduta l’attività dei microprocessori; la separazione fu effettiva dal 16 luglio 2004 mentre i semiconduttori generici vennero conferiti alla ON Semiconductor. 

Il 4 gennaio 2011 Motorola Inc. è stata divisa in due società distinte, “Motorola Mobility” e “Motorola Solutions”,  per cercare di porre rimedio alle grosse perdite che ammontano a circa 4,3 miliardi di dollari. Nel gennaio 2011 entra nel mercato dei tablet con il Motorola Xoom. Il 15 agosto 2011 la società Motorola Mobility è stata venduta al colosso dell’informatica Google Inc. per la cifra di 12,5 miliardi di dollari, l’acquisizione è stata approvata all’unanimità dai consigli d’amministrazione delle due aziende. Grazie all’acquisizione, la società di Mountain View inizierà a produrre smartphone aventi marchio Google e dotati di dispositivo Android.

Nel 2013 viene ufficializzato l’acquisto della divisione Motorola Home da parte di ARRIS group, Inc .Nel gennaio del 2014 Google ha venduto Motorola a Lenovo. Nel 2016 Lenovo ingloba completamente l’azienda. 

(FONTE: WIKIPEDIA)

RICERCHE E INDIRIZZI WEB

Nel corso della mia personale ricerca sull’oggetto mi sono imbattuta nell’interessante contenuto di un blog, risalente al 2006, a questo indirizzo internet: http://telephonicas.blogspot.it/2006/08/motorola-v550-amorevole-affidabilit.html. Al suo interno si può leggere la testimonianza di un utente dell’epoca che descrive il Motorola v550 in alcuni dei suoi dettagli e racconta l’impatto (decisamente positivo) che ha avuto con questo telefono, elencandone con entusiasmo  i molti pregi (display esteticamente molto apprezzabile, peso e dimensioni che lo rendono pratico e facile da maneggiare, presenza di numerosi giochi, fotocamera integrata di buona qualità) e i ben pochi difetti. Una “recensione”  nel complesso breve e concisa ma molto preziosa per chiunque desideri provare a guardare questo oggetto con gli occhi di un utente medio dei primi anni duemila.

 Ho potuto trovare numerosi altri commenti e recensioni di questo tipo all’indirizzo http://www.schede-cellulari.it/recensione_motorola-v550.htm che, a differenza del precedente, ci porta ad un blog di discussione nel quale si confronta un numero molto più elevato di utenti, e di conseguenza ,ovviamente, anche una serie di opinioni discordanti.

All’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=51-f8imnw2U  di youtube ho trovato un semplice ma utile video che illustra una buona parte dei contenuti, delle caratteristiche e delle funzionalità generali di un Motorola v550 

I dettagli della scheda tecnica del Motorola  modello v550 li ho invece reperiti all’indirizzo https://puntocellulare.it/schede-cellulari/motorola/motorola_v550.html .

IMMAGINI PRODOTTO

[appunti di ricerca] Walkman Stereo cassette Player High Resolution

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Sara Properzi

PARTE 1

È strano pensare al passato. Studiamo fatti avvenuti secoli e secoli prima del nostro arrivo sulla Terra e li accettiamo per veri. Fanno parte della nostra storia, della nostra memoria. Ma non serve andare troppo in là nel tempo per trovare qualcosa di interessante da studiare. Basta tornare indietro a quasi quarant’anni fa. Alla fine degli Anni ‘70 venne messo in commercio un oggetto che a molti oggi sembra strano ma che per una generazione di ragazzi è stato fondamentale per poter ascoltare la musica ovunque andassero. Un oggetto che sta su una mano e che è stato una meteora, figlio di un tempo in cui la tecnologia stava iniziando a fare passi da gigante. Infatti, giusto il tempo di vedere crescere una generazione e ha iniziato a sparire dalla circolazione. L’oggetto in questione, precursore dei lettori cd e mp3, padre di tutti gli iPod e degli Smartphone, era un semplice aggeggio che assomiglia ad un vecchio gioco per bambini. Era un Walkman.

Attraverso la mia indagine, mi preoccuperò di investigare le ragioni per cui questo oggetto di così grande successo ha avuto vita breve (quasi meno di vent’anni) e ricercherò le varie campagne pubblicitarie dell’epoca che hanno fatto sì che il mangianastri superasse il giradischi, le varie versioni che vennero create (soprattutto quelle della Sony) e come i film dell’epoca abbiano aiutato alla sua promozione (primo fra tutti “Il tempo delle mele”, che lo lanciò sul mercato internazionale). Ma soprattutto mi vorrei soffermare sulla generazione dei giovani che vissero quel periodo di rivoluzione. Oggi per noi avere un dispositivo portatile per ascoltare musica non è una grande scoperta, ma negli Anni ‘80 è stata una vera e propria sorpresa, tanto da rendere il walkman l’icona di un’intera generazione, un vero e proprio oggetto cult. Chi poteva immaginare una cosa del genere? Di poter portare la propria musica preferita in giro. Era quanto di più avanguardistico ci potesse essere.

Sono interessata alla cultura pop, specialmente  quella degli Anni ‘80. Mia madre mi racconta spesso di quel periodo. E, in un giorno come tanti, mi ha parlato del walkman. Sapevo già cos’era quello strano e buffo oggetto. L’avevo visto spesso in alcuni film, come “Footloose” o “Pretty woman”. Da subito c’è stata come una scintilla, un’attrazione istintiva verso quel piccolo oggetto di plastica. Così è iniziata una lunga caccia al tesoro. Mia madre non ricordava più dove lo aveva abbandonato. 

Abbiamo messo a soqquadro la casa, la cantina e anche il garage per trovarlo e alla fine, come in uno di quei film di John Hughes, abbiamo avuto il nostro happy end. Lo abbiamo trovato.

È riuscito a sopravvivere bene ad una valanga di vestiti (tra cui un paio di pantaloni a zampa d’elefante che avrebbero potuto uccidere chiunque), alla polvere e all’ossidazione, ma il tempo ha avuto la meglio. Quel caro e vecchio walkman non funziona più. Gli manca una rotella ed è leggermente ammaccato. Tutti invecchiano, anche gli oggetti.

Walkman Stereo cassette Player High Resolution Anni ‘70/’80

Title

Nascere in un determinato periodo storico, dice molto di una persona in quanto denota il tipo di generazione a cui appartiene. I sogni, le aspirazioni, il modo di pensare e di agire delle persone nate nella stessa epoca non sono gli stessi ma hanno delle similitudini. Il periodo storico in cui si nasce infatti, influenza in maniera determinante i modi di comunicare, pensare e agire di una persona e incide fortemente sui suoi gusti e sulle sue abitudini. Ecco perché ogni generazione ha i suoi film cult, i suoi libri must, i suoi giochi indimenticabili, i suoi miti e campioni, le sue aspirazioni e soprattutto le sue musiche. Negli Anni ’80 era normale che una ragazzo tornasse a casa da scuola con le cuffie calcate nelle orecchie mentre cantava a squarciagola “Super, Superman” di Miguel Bosé. Era la famosa generazione X: quella dei cartoni animati, delle sale giochi, dei primi computer, ma soprattutto dei primi oggetti portatili.

Coloro che facevano parte della generazione X, avevano appena vent’anni quando sono stati messi in commercio i primi walkman e sono stati i primi a credere nel cambiamento, a passare dal giradischi e dalle radiolone portate a spalla ad un oggetto che stava attaccato ad un passante dei pantaloni.

In primis, quindi, bisogna ricordare che il walkman era un oggetto destinato soprattutto ai giovani: la sua uscita rivoluzionò completamente il loro mondo; non bisogna dimenticare infatti che gli Anni ‘80 erano un contesto storico molto particolare, in cui ascoltare musica senza restare fermi in casa era qualcosa di totalmente nuovo. Ma chi era più “stagionato”, era diffidente: aveva paura che questo nuovo apparecchio avrebbe portato dei seri problemi di comunicazione tra le persone. Quest’ultima è una previsione giusta ma solo in parte, in quanto bisogna tenere a mente che l’incomunicabilità tra gli individui era già iniziata negli Anni ’60 e ’70; ma è anche vero che gli Anni ’80 ci misero il “carico da dodici”, in quanto furono gli anni in cui bastava avere un videoregistratore e si poteva avere qualsiasi film direttamente a casa e bastava un nastro per avere qualsiasi tipo di musica a portata di mano. Si giunge così alla conclusione che non è un caso che il walkman sia apparso proprio in quegli anni, in un tempo in cui si stava iniziando a fare strada il mantra “Più piccolo e compatto, meglio è”.

Il walkman però, non era un oggetto che tutti si potevano permettere. Un buon apparecchio costava centoventimila lire, mentre uno di ottima qualità arrivava a superare anche le duecentomila lire. Inoltre, bisogna ricordare che anche le cassette avevano il loro costo. Ad esempio, mia madre mise i soldi da parte per poterlo comprare e, visto che dove viveva non c’erano negozi d’elettronica, dovette farsi accompagnare in centro per comprarlo.

Camminare è sempre stata una delle azioni più immediate e istintive del nostro corpo. E il fatto di unire questo semplice atto alla musica fu geniale. Cambiò il modo di muoversi tra le gente e soprattutto cambiò completamente il modo di ascoltare musica.

[appunti di ricerca] MS. PAC-MAN (MGA, 1992)

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Sara Olivo

PARTE 1

Ms. Pac-Man è un gioco del 1992 distribuito dalla MGA. La MGA (Micro-Games America Entertainment) è una azienda americana produttrice di giochi per bambini e ragazzi fondata nel 1979. Durante gli anni 90 ha rilasciato alcune versioni portatili di diversi giochi arcade della Namco che è la casa produttrice di Pac-Man, Ms. Pac-Man e Mappy.

Ms. Pac-man della MGA è esplicitamente basato sull’omonimo videogame arcade della Midway Manufacturing (oggi conosciuta come Midway Games) che nel 1981 rilasciò nelle sale giochi il famoso videogame su licenza della Namco.  

Sia il gioco portatile della MGA che quello Arcade condividono gli stessi aspetti di gioco, in parte diversi rispetto al classico Pac-Man; infatti ci sono ben quattro diversi labirinti che si intercambiano invece di presentare sempre lo stesso labirinto per tutto il gioco. Inoltre, i frutti compaiono in diversi punti collocati sul labirinto invece che sempre nello stesso punto al centro della mappa come in Pac-Man; i bonus includono diversi frutti come ciliegie, fragole, banane, mele e pere. 

Nel videogame della MGA, salendo di livello, si giocherà in una modalità che non permette di vedere il labirinto ma solo di procedere “alla cieca” sempre con l’obiettivo di sfuggire ai fantasmi.

Il gioco sfrutta la tecnologia LCD per lo schermo, ci sono poi il tasto Start che avvia il gioco; il tasto Sound che permette di entrare in modalità “silenzioso”, il tasto Mode che permette di mettere il gioco in pausa e la manopola di direzione per far spostare Ms. Pac-Man nel labirinto.

LIBRI UTILI:

Atari Age: The Emergence of video games in Americ

PARTE 2

USI, PRATICHE E CULTURA:

In ëAtari Age: the emergence of video game in America (2017), Newman fa una riflessione sul genere del pubblico a cui mira l’industria dei videogiochi. Infatti, i giochi arcade erano situati in luoghi visitati prevalentemente da un pubblico maschile e l’arrivo delle console nelle case non ha cambiato quasi nulla perché è stata percepita come uníalternativa, sempre maschile, alla televisione. Con l’ideazione di Ms. Pac-Man (il gioco arcade) si è dimostrata la volontà di ampliare il target dei consumatori iniziando a includere anche il genere femminile. Anche se Ms. Pac-Man è stato spesso considerato come una sessualizzazione del gioco stesso, riusciva nel suo intento; creando una storia díamore tra líeroe e del gioco e l’eroina il pubblico femminile si interessava maggiormente.

Pac-Man puntava quindi sia a consumatori adulti che bambini e indistintamente a maschi e femmine; questa caratteristica ha fatto di questo gioco il primo riconosciuto come parte integrante della cultura nazionale americana.
Pac-Man si distingueva dagli altri giochi famosi (che erano sopratutto giochi di guerra e sparatutto) per la sua interfaccia amichevole e il simpatico personaggio in stile cartone animato, la politica che ha spinto il gioco verso questa grafica era quella di attirare un maggior numero di ragazze nelle sale arcade; in questo modo non si formava solo una nuova fascia di consumatori ma si rafforzava anche la fascia maschile che sarebbe stata attirata dallíaltro sesso nelle sale giochi rendendole un vero e proprio luogo di incontro.

L’esplosione della fama del videogame in America e in Giappone ha portato allo sviluppo massiccio del merchandise (Tshirts, orologi, bicchieri, poster, cuscini, stickers, borse, libri, pupazzi, eccÖ) che si diffonde sia nelle sale giochi che nei negozi di souvenir.