Andrea Mariani | (Un) Dead Media Project
Cinema, storia, media
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[appunti di ricerca] diapositiva

 

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Marianna Iob



PARTE 1

Introduzione:

Si tratta di un’immagine fotografica positiva, che può essere sia a colori che in bianco e nero; l’immagine è sovrascritta su un supporto trasparente e ha la peculiarità che per essere vista deve essere attraversata dalla luce (dia:” attraverso” e “positiva). A questo scopo esistono schermi retroilluminati e proiettori appositi (imm 3).

Quando parliamo di “diapositive” in realtà ci stiamo riferendo ad una pellicola (imm. 1) montana su un telaietto (imm. 2). Per raggiungere questo tipo di prodotto si utilizzava semplicemente una macchina fotografia a rullino, e quando quest’ultimo aveva esaurito gli scatti possibili si poteva procedere con il “taglio” della pellicola nel rullino. Questo procedimento era svolto non a casa ma in appositi negozi (come gli ottici) che provvedevano anche a montare il ritaglio della pellicola sul telaietto.

Approfondendo l’argomento già introdotto riguardo i proiettori, si possono citare varie tipologie (a carosello, a caricatore lineare, a doppio caricatore…) su cui però non ci soffermeremo, in quanto l’utilizzo dei tali è molto simile.

Semplicemente il proiettore (imm. 3) era dotato di uno spazio apposito per inserire i caricatori (imm. 4) che potevano contenere fino a 50 diapositive. Questi caricatori erano utili anche per ordinare le diapositive, un po’ come un album fotografico.

Per concludere, il proiettore e le diapositive rappresentavano nei decenni passati un grande intrattenimento familiare; per riprodurre in modo soddisfacente le diapositive, c’era bisogno di un ambiente buio e domestico dove poter riguardare frammenti del proprio passato.

Produzione e storia:

Per quanto riguarda la produzione delle diapositive in senso moderno (imm. 1, 2) possiamo datarle tra gli anni ‘50 fino alla fine degli anni ‘90. In realtà la nascita delle diapositive risale all’ottocento, con l’avvento degli stereoscopi (https://it.wikipedia.org/wiki/Stereoscopio).

Un altro passo in avanti verso le moderne diapositive, apparve negli anni ’30, con la compagnia True-Vue, la prima a inserire diapositive stereoscopiche in pellicola 35 mm in b/n (https://it.wikipedia.org/wiki/Tru-Vue).

Importante citare anche il sistema View-Master, il primo sistema di visione 3-D a utilizzare un supporto di cartoncino. Questo sistema comprendeva diapositive a colori, commercializzato dalla compagnia Sawyer’s Photographic Service nel ’38 (https://it.wikipedia.org/wiki/View-Master).

Nel dopoguerra ci furono ulteriori passi in avanti, soprattutto grazie a compagnie molto conosciute ancora oggi come la Kodak (con le sue pellicole Kodachrome ed Ektachrome 64T), l’Agfa (con l’Agfachrome) e la Fujifilm (con la Fujichrome e la Velvia).

La miglior pellicola tra quelle sopracitate era senza dubbio la Kodachrome della Kodak. Questa pellicola per diapositive fu in produzione fino al 22 Giugno del 2009, e l’ultimo rullino venne sviluppato l’anno successivo. Sempre della Kodak, le pellicole per diapositive Ektachrome cessarono la produzione nel 2012.

Ma niente paura, la Kodak ha annunciato nel 2017 che quest’ultima tipologia di diapositive tornerà sul mercato (http://blog.analogica.it/analogica-it/segnalazioni/2017/01/il-grande-annuncio-kodak-tornera-a-produrre-diapositive-ektachrome-nel-2017/).

Usi, pratiche e ambienti sociali/culturali di utilizzo:

Non sono presenti molte pubblicità riguardo alle diapositive e relativi proiettori, come non ci sono molte informazioni online riguardo l’oggetto.

Si possono però rintracciare alcuni video di film, pubblicità e serie tv dove queste diapositive appaiono.

In una puntata di Mad Man, il protagonista sta sponsorizzando un proiettore di diapositive; tralasciando i sentimenti del protagonista, possiamo vedere la potenzialità dell’apparecchio all’epoca (anni ’60). Come infatti dice il protagonista, riferendosi al proiettore Kodak: “Questo aggeggio non è una nave spaziale, è una macchina del tempo”. Per tutto il video cerca di descrivere cos’è realmente quel proiettore e cosa le diapositive ci possono dare in senso emotivo, definendo il ruolo sentimentale di esse. (https://www.youtube.com/watch?v=vAcmnUz-lnA)

Proseguendo, si può riportare anche una vecchia pubblicità di vestiti, che inizia con un padre e un figlio attorno ad un proiettore a Carosello. Questo spot può indicare come l’oggetto in questione fosse entrato nella vita quotidiana, come lo può essere oggi un normale telefono (https://www.youtube.com/watch?v=Pztt2sFJHdw) e lo stesso vale per il film “It” del 2017 (https://www.youtube.com/watch?v=3sFnVs–D2I) e Ace Ventura (https://www.youtube.com/watch?v=Pztt2sFJHdw).

In questi ritagli non sono direttamente citate le diapositive, ma solo il macchinario che le esalta; comunque si può concludere che le diapositive (specialmente dagli anni ’60 ai ’70) furono un tramite per il coinvolgimento famigliare o amicale, un n uovo modo per rivivere ricordi e momenti intensi.

Purtroppo, al giorno d’oggi questi momenti profondi dati dalle visioni delle diapositive si è totalmente perso: guardiamo le foto dal telefono velocemente, senza soffermarci mai troppo, produciamo un numero di fotografie imbarazzante e senza dare ad esse il giusto peso emotivo. Al giorno d’oggi quello che conta sono i like, non più la storia che c’è dietro all’immagine.

Concludendo, le diapositive erano momento di aggregazione, di ricordo e di sentimento che purtroppo non torneranno mai più

https://www.youtube.com/watch?v=vAcmnUz-lnA mad man

https://www.youtube.com/watch?v=3sFnVs–D2I it pro. A carosello

https://www.youtube.com/watch?v=Pztt2sFJHdw pubblicità vestiti

https://www.youtube.com/watch?v=Pztt2sFJHdw ace ventura

 

[appunti di ricerca] Soundesign Six Band Radio Model 2660B

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Francesca Bortoluzzi



PARTE 1

Soundesign Six Band Radio Model 2660B.

Per questo progetto ho recuperato una radio degli anni ’80 prodotta dalla Soundesign.

SDI Technologies is the name of a consumer electronics manufacturer whose products are marketed under several national brands, including Timex, Sylvania, eKids, New Balance, KIDdesigns, and iHome. They used to market under Soundesign, a now defunct brand. 

La sua storia, sia quella legata al produttore che al consumatore, rimane per il momento piuttosto incerta.

Per fare luce sulla prima oltre a delle ricerche autonome via internet ho provato a contattare via email  la SDI Technologies.

La storia affettiva di questa radio invece, coinvolge mia nonna e la famiglia Bocato per cui ha lavorato e a cui è ancora molto affezionata. Più di 10 anni fa il capofamiglia morì e la famiglia diede via alcuni dei suoi oggetti tra cui questa radio che finì in mano a mia nonna; fino ad arrivare ai banchi del Digital Storytelling Lab come soggetto di un analisi sperimentale. 

Nonostante abbia passato molti anni in cantina i quali hanno portato alcune molle ad arrugginirsi, è stata conservata piuttosto bene ed è tuttora perfettamente funzionante.

Tra i vari oggetti che avrei potuto scegliere era il più maneggevole e comodo da trasportare, oltre a rappresentare quasi una sfida, personalmente sono abituata ad usufruire della radio come componente di un apparato più grande (ad esempio la macchina) e non come cosa a sé stante.

pastedGraphic.png

Primi approcci e frustrazione:

Ho mosso i primi passi verso questo oggetto andando a ricercare immagini su internet che lo ritraessero sperando anche in qualche descrizione approfondita, ma i risultati almeno per i miei scopi iniziali non sono stati molto fruttuosi. Sembra che la maggior parte dei link che riguardano questa radio portino a siti come Ebay e simili, al momento solamente www.radiomuseum.org è stato utile fornendo una descrizione delle sue componenti.

Non ho trovato alcuna promo dell’oggetto, non so come fosse la confezione e sentendomi di fronte ad un muro ho deciso di  inviare una mail alla SDI Technologies, con la speranza che il contenuto risulti abbastanza interessante da collaborare in questa indagine.

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PARTE 2

Soundesign Six Band Radio Model 2660B.

Il modello preso in analisi è una radio multibanda a transistor degli anni ’80.

Il transistor è quella tecnologia che a partire dagli anni ’50 modificò gran parte degli oggetti mediali; il primo a incontrare il cambiamento fu proprio la radio (fonti: http://www.leradiodisophie.it/Transistor-anniversary.html).                                                                                                 Le prime fusioni portarono alle radio tascabili per poi modificare le “taglie” successive, nel caso qui analizzato si tratta di una radio portatile.

Il costo di questo oggetto oggi va dai 50 – 70 dollari, dipende dal sito ecommerce su cui si cerca, molto probabilmente in origine il prezzo era maggiore.

Essendo una radio portatile, l’oggetto presenta sulla parte superiore una maniglia e il rivestimento in pelle marrone contribuisce a farla assomigliare ad una valigetta 24 ore.                                                       Questa associazione può essere condizionata anche dalla possibilità di aprirne il lato posteriore tramite due bottoni, dal suo interno emerge la possibilità di inserire la spina in un piccolo scomparto in modo tale che essa non occupi troppo spazio e non intralci.                                                   In sostituzione all’alimentazione tramite cavo elettrico è possibile introdurre delle batterie mezza torcia.

Questa modalità d’uso suggerisce una fruizione dell’oggetto dinamica, lo rende adatto a spostamenti, viaggi e a piccoli spazi. 

“Ma negli anni ’80 dove si ascoltava la radio?”

“A casa e anche in spiaggia, sì! Portavamo la radio in spiaggia”.

Osservando l’oggetto con mio padre.

Chiudendo questo lato e riportando l’attenzione su quello frontale si nota un particolare che al momento ho riscontrato solo nelle radio prodotte a partire dagli anni ’80, ovvero il colore. Le diverse bande sono associate a dei colori, probabilmente gli abbinamenti derivano dai colori dello spettro elettromagnetico percepibili dall’occhio umano.

Sopra a manopole e schermo per regolare la frequenza troviamo una mappa accompagnata dalle istruzioni, che indicano come poter seguire un programma in base al luogo e alla fascia oraria.

Risalire a delle conclusioni analizzando questo oggetto è complesso, la stessa radio, stesso nome e stesso design presenta delle varianti. Sul web si trovano modelli in cui ad esempio non è presente la Dial – O – Map. 

“Questa degli anni ’80? No ma non può essere…” osservando l’oggetto con mio padre.

Il design dell’oggetto è stato per un primo momento fuorviante, la sua estetica sembra condurre ad almeno una quindicina di anni prima, ma molteplici siti tra cui forum ed ecommerce hanno confermato come periodo corretto gli anni ’80.

Dagli elementi raccolti, tra cui il packaging,  si può dedurre che non si trattava di un oggetto pensato per una fascia di età molto giovane, più realisticamente il target andava dai 25 – 40 anni al contrario di molti oggetti iconici di quel periodo.

PARTE 3

Scomposizione

Ho iniziato la scomposizione della Radio Soundesign Model 2660b, con l’intenzione di fermarmi prima di arrivare ad un punto di non ritorno. Il momento è arrivato, al contrario delle mie aspettative, piuttosto presto.

La costruzione di questo oggetto è suddivisibile in livelli differenti: il più profondo, il cuore è dato dalla parte del circuito, dalla batteria, da parte dell’antenna che è inoltre l’unico elemento che nasce dall’interno per poi attraversare il guscio esterno, diventando una parte maneggevole e di fondamentale utilizzo per il funzionamento dell’oggetto. Un secondo livello va dato ad una superficie di plastica nera, essa ha il compito di proteggere questo cuore elettrico da una prima e facile apertura che si attua slacciando due bottoni; sono posti in modo da consentire l’apertura del retro della radio dove sono inseribili delle batterie mezza torcia e dove riporre la spina in modo da rendere più maneggevole e comodo lo spostamento della radio.

Il terzo livello è il guscio esterno fatto di pelle e metallo, quest’ultimo materiale in particolare, durante l’ultima accensione della radio ha  creato un prblema in quanto trasferiva una piccola quantità di elettricità.

L’intento iniziale era di approfondire la scomposizione, ma il secondo livello presenta una resistenza nonostante l’uso del cacciavite; è stato possibile alzare parte della superficie in plastica e rendere visibile il cuore.

Questo impedimento ha indirizzato il mio sguardo sull’indagine e la riformulazione di un elemento esterno piuttosto che interno che verranno sviluppati in futuro.

 

[appunti di ricerca] Pentax PC-313

(Un)Dead Media Project
Articolo a cura di Monica Vitulo



PARTE 1

INTRODUZIONE

Ho deciso di utilizzare la macchina fotografica PENTAX- 313 perché la utilizzò fin da quando ero bambina quindi è un oggetto a cui sono molto affezionata.
In seguito riporto delle informazioni storiche dell’oggetto:
Il PC-313 è un punto di messa a fuoco automatico da 35 mm e scatta una fotocamera compatta di Pentax; è degli anni 90.
Fa parte della serie di PC Pentax di fotocamere.
Usa un obiettivo da 3 mm 35 mm, f / 4,5. La messa a fuoco è automatica utilizzando un sistema di tipo a infrarossi. La distanza minima di messa a fuoco è 1,2 m.

Il flash incorporato ha una GN di 10 con un tempo di ricarica di 6 secondi. Il trasporto del film è motorizzato e fa avanzare automaticamente il film. È compatibile con film 100, 200 e 400 ISO. L’alimentazione proviene da due batterie AA.
1951-1957: Le origini di un mito

I progettisti iniziarono la ricerca e lo sviluppo nel 1950 e alla fine del 1951 era pronto il prototipo di una reflex monobiettivo 35mm. Il vetro smerigliato forniva un’immagine brillante e diritta ma invertita da destra a sinistra; ciò poteva essere accettabile per riprese orizzontali, ma inquadrare in verticale era difficile: per questa ragione venne aggiunto un piccolo mirino ottico a fianco di quello a pozzetto. Il primo esemplare di produzione della Asahiflex uscì dalle linee il 26 ottobre 1951 e di conseguenza adottò il numero di matricola 26101, ma l’Asahiflex I fu posta in vendita al pubblico solo nel maggio 1952. La Asahiflex fu la prima reflex monobiettivo 35mm giapponese.
Asahiflex I (1951)
La Asahi Optical Co. voleva realizzare una fotocamera fornita di tempi lenti, ma mancava un adeguato sistema di ritorno rapido dello specchio a velocità più lente di 1/20 di secondo. All’inizio del 1954 furono tentati vari esperimenti insoddisfacenti, poi finalmente il problema fu risolto da Nobuyuki Yoshida. Quando lo specchio si sollevava e raggiungeva la posizione superiore azionando l’otturatore, era tenuto in posizione dall’azione di una molla; quando la seconda tendina dell’otturatore completava il proprio movimento, veniva meno la pressione sulla molla e questo permetteva il ritorno dello specchio in posizione di visione. Il nuovo specchio a ritorno istantaneo fu collaudato e si dimostrò molto affidabile. Con la Asahiflex IIB era iniziata l’epoca della reflex con specchio a ritorno istantaneo.
Asahiflex IIB (1953) – foto: cortesia AOHC
Nel 1957 la Asahi Optical Co. segnò un altro successo con l’introduzione di una reflex finalmente completa di un pentaprisma fisso che dava una immagine brillante sullo schermo di focheggiatura ed correttamente orientata sia nel senso alto-basso che in quello destra-sinistra. La nuova fotocamera venne denominata Asahi (nome del fabbricante) Pentax (denominazione del modello). A confronto con le altre reflex del periodo, la Asahi Pentax era più pratica nell’uso, più compatta e più elegante, un mix che da allora contraddistingue le reflex PENTAX.
Asahi Pentax (1957) – foto: cortesia AOHC
La Asahi Pentax (oggi nota come AP) fu la prima reflex dotata di un pentaprisma fisso, leva di carica rapida e schermo di messa a fuoco con microprismi, annunciando l’alba di una nuova era fotografica; l’epoca d’oro delle fotocamere a telemetro era tramontata. Grazie alle innovazioni introdotte da Asahi (specchio a ritorno istantaneo e pentaprisma prodotto a livello industrale), la reflex 35mm aveva superato le limitazioni dei primordi e poteva far valere la sua maggiore versatilità nell’uso di obiettivi grandangolari e supertele. Buona parte del successo dei modelli Asahi Pentax si deve anche alla scelta di adottare un attacco obiettivi standard: quell’innesto a vite M42x1 che, pur nato in Germania, divenne noto come il “passo a vite PENTAX”. Da questo momento in poi, sempre più professionisti e fotoamatori si sarebbero orientati al sistema reflex.

Luogo: Giappone
Stato: Giappone
Fondazione: 1919 a Tokyo
Chiusura: 31 Marzo 2008
Sede principale: Giappone Giappone, Tokyo

Gruppo: Sussidiaria della Ricoh (dal 2011) SettoreFotografia

SettoreFotografia

Prodotti: Fotocamere ed apparecchiature fotografiche; binocoli, telescopi
Fatturato:  157,3 miliardi di yen[1] (2006)
Dipendenti: 1.661 (2005)
Slogan «Pix Your Life»

La Pentax (da PENTAprism refleX) è una delle più antiche e prestigiose aziende nel mercato della fotografia e dell’ottica. La casa fu fondata nel 1919 da Kumao Kajiwara a Tokyo. Oggi appartiene alla Ricoh, che l’ha acquisita nel 2011 dalla Hoya Corporation. Oltre alle fotocamere, produce binocoli, lenti e diversi strumenti ottici. Nel 2004 la Pentax Corporation aveva circa 1.600 dipendenti.

Pentax può essere considerata l’azienda che ha maggiormente contribuito allo sviluppo delle fotocamere reflex: a lei si devono infatti innovazioni quali lo specchio a ritorno istantaneo, la misurazione esposimetrica spot, l’esposimetro TTL, l’esposizione automatica a priorità dei diaframmi, la reflex autofocus, il trattamento antiriflesso multistrato.

Asahiflex IIb
La Asahi Kogaku Goshi Kaisha’ venne fondata nel novembre del 1919 da Kumao Kajiwara a Toshima (sobborgo di Tokyo) per la produzione di lenti da occhiali. Nel 1922 iniziava la produzione di ottiche per il cinema e solo nel 1932 con una fornitura di ottiche per la Molta Company Ltd (oggi Minolta) iniziava ad affacciarsi nel mercato della fotografia. Nel 1938 divenne la Asahi Optical Company Limited e proseguì la propria attività con forniture di ottiche per le forze armate nipponiche.
Con la fine della seconda guerra mondiale il presidente Saburo Matsumoto sull’onda dei successi delle altre case del Sol Levante (Nikon, Canon) decise di avviare un progetto per la produzione di una prima fotocamera alla Asahi Optical. I progettisti basarono il primo prototipo sulla Praktiflex, che pronto nel 1951 venne introdotto l’anno seguente nel mercato con il nome di ‘Asahiflex’. La macchina utilizzava ottiche denominate Takumar in omaggio a Takuma Kajiwara, parente del fondatore, dotate di un innesto a vite M37x1. Fu così che la Asahiflex divenne la prima reflex monobiettivo 35mm giapponese.
Nel 1953 vedeva la luce la nuova serie di Asahiflex la “II”, inoltre veniva aggiornata la linea di ottiche Takumar: la reflex Asahi riusciva a sfondare ed affermarsi come marca di successo. Nel 1954 la Asahiflex IIB introduceva lo specchio a ritorno istantaneo; il meccanismo, basato su levismi, è stato da allora utilizzato da tutti i concorrenti. Nel 1957 un altro successo commerciale avveniva con l’introduzione del pentaprisma ottico che forniva nel mirino una immagine a lati non invertiti, rendendo l’inquadratura semplice e naturale come quella delle macchine a mirino galileiano: nasceva così la marca Pentax (da PENTAprism refleX); questo modello introduceva anche la leva di carica rapida sul lato superiore destro ed i microprismi sul vetrino di messa a fuoco e può essere definita la prima SLR “moderna”, nel senso che presentava le caratteristiche che da allora in poi si sono ritrovate su tutte le fotocamere di questo tipo. Il nuovo modello aveva l’attacco degli obiettivi a vite M42x1, già utilizzato sulle fotocamere Contax e Pentacon, che diventerà uno standard. Nel 1960 veniva presentato il prototipo di una fotocamera SLR con un esposimetro che misurava la luce direttamente dall’obiettivo, la misurazione avveniva su area ristretta (spot), da qui il nome “Spot-Matic” del prototipo. L’esposimetro TTL (Through-the-lens, con il quale la misurazione della luce avviene attraverso l’obiettivo), con misurazione media sul campo inquadrato, avrebbe equipaggiato la celebre Spotmatic che fu commercializzata nel 1964 (nel frattempo – nel 1963 – la concorrente Tokyo Kogaku aveva iniziato la produzione della Topcon RE Super, dotata anch’essa di esposimetro TTL che fu così la prima reflex TTL commercializzata). Nel 1966 vennero presentati due prototipi dotati di otturatore elettronico ed esposizione automatica: la Memorica, a priorità dei tempi e la Metalica, a priorità dei diaframmi. Solo quest’ultima fu sviluppata e dette luogo alla Electro Spotmatic (Asahi Pentax ES), la prima reflex con automatismo a priorità dei diaframmi, commercializzata nel 1971, anno in cui fu lanciata la gamma degli obiettivi “SMC Takumar”, i primi obiettivi commerciali dotati di trattamento antiriflessi multistrato, frutto della collaborazione con l’azienda tedesca Carl Zeiss. Il 1969 vedeva l’introduzione della Pentax 6×7 prima fotocamera di medio formato della Asahi. Il 1975 vide l’introduzione di un nuovo attacco, detto a baionetta K sulle nuove camere chiamate “KM”, “KX” e “K2” in sostituzione dell’attacco a vite M42x1 fino ad allora utilizzato.

Nel 1976 è introdotta la reflex K1000, economica e robusta, ereditava dalle precedenti macchina della serie K la struttura massiccia del corpo, la meccanica di precisione, ad un prezzo contenuto. Uno strumento essenziale, del tutto manuale, affidabile ed economico, resterà uno dei grandi successi del marchio, in produzione per gli anni a venire, costituendo una icona della fotografia. In quello stesso anno Pentax intraprende quella che sarà la costante tendenza alla miniaturizzazione di Pentax, che all’esordio portò alla commercializzazione della serie “M”, per “miniature”, distinta inizialmente in “MX” (totalmente meccanica e di indirizzo professionale) e “ME” (elettronica e per un uso più amatoriale e istintivo). La MX riscosse un notevole successo come modello professionale di dimensioni ridotte e peso contenuto, grazie alla accoppiata con i compatti obiettivi M (da segnalare il contenutissimo 40 mm 2.8 dallo spessore di poco oltre il centimetro). Nel 1978 un’altra novità fu la presentazione del sistema Auto 110, progettato intorno all’allora diffusa cartuccia 110. Questa minuscola reflex, insieme alla successiva Auto 110 Super, resta l’unica fotocamera 110 con obiettivi completamente intercambiabili.

Nel 1980, ricorrenza dei 60 anni di Asahi, Pentax introduce un modello altamente professionale, LX. L’indirizzo spiccatamente professionale emergeva, oltre che da una accentuata cura costruttiva (guarnizioni antipolvere, antiumidità e antispruzzo), dalla dotazione di una serie completa di accessori professionali per ogni esigenza specifica, tra cui mirini intercambiabili. Utilizzabile sia in modalità totalmente manuale che con la priorità di diaframmi, e dotata di un rivoluzionario sistema esposimetrico sul piano pellicola, di un otturatore in titanio e lettura TTL anche durante l’esposizione (sistema PENTAX IDM: Integrated Direct Metering). Caratteristica notevole del sistema esposimetrico della LX era la capacità di lavorare anche a livelli di luce bassissimi (fino a -6,5EV, un traguardo ancora oggi insuperato). Questa eccezionale sensibilità, unita ad un otturatore capace di arrivare in automatico a parecchi minuti di esposizione, aprì nuove opportunità fotografiche nelle riprese a luce ambiente e nella tecnica di illuminazione “open flash”. La Pentax puntò con questo modello ad affermarsi anche nel settore professionale più avanzato, dopo il successo della MX in quel senso, ampliandone caratteristiche e accessori. Insieme alla LX venne presentata la prima serie di obiettivi “Star”, che grazie all’impiego di speciali vetri ED e/o lenti asferiche garantiva elevata luminosità e prestazioni al massimo livello, per confrontarsi alla pari coi massimi nomi dell’ottica mondiale e dotare la LX di un parco ottiche adeguato alla sua destinazione professionale. Con questo modello la reputazione di PENTAX, in termini di innovazione tecnologica, raggiunse l’apice.

Nel 1981 venne raggiunta la cifra record di 10 milioni di fotocamere prodotte dall’inizio dell’attività dell’azienda. La produzione proseguì con la famosa ME-SUPER (1982) vero cult degli anni ’80. ME “Super” in quanto evolveva la precedente ME introducendo accanto alla priorità di diaframmi anche una modalità interamente manuale (con innovativi pulsanti per la selezione del tempo di scatto), la predisposizione per un motore, e indicazione dei tempi nel mirino mediante led come sulla MX. Questo permise di ampliare la possibilità creative della ME e realizzare un modello intermedio tra amatoriale e professionale in grado di conquistare il mercato dei fotoamatori del tempo alla ricerca di prodotti più versatili ma a prezzi adeguati ad un uso non professionale. La compattezza, le ampie possibilità di uso, e il costo contenuto senza alcun sacrificio in termini di qualità costruttiva, fecero della Me-Super un successo di mercato confermato anche negli anni a venire, rendendo accessibile a molti fotoamatori uno strumento prima ad appannaggio di pochi.
Un ulteriore traguardo pionieristico della Pentax è raggiunto con la ME-F nel 1983, la prima fotocamera reflex autofocus prodotta al mondo. Questa fotocamera disponeva di messa a fuoco TTL, il motore per la messa a fuoco era incorporato nell’obiettivo, così che si potevano montare le ottiche normali, con le quali si disponeva di un’indicazione di corretta messa a fuoco nel mirino. Nonostante la rivoluzionaria innovazione tecnologica, il mercato non rispose in maniera entusiastica alla messa a fuoco automatica, che restò una avanguardia isolata delle macchine successiva generazione. Nel 1983 avviene anche l’introduzione del modello Super A reflex 35mm equipaggiata con una nuova serie di obiettivi predisposti per la priorità dei tempi, identificati dalla lettera A in luogo della precedente M, e l’esposizione programmata. La Super A conquistò il titolo di “Fotocamera Europea dell’Anno” ponendosi come sviluppo in direzione elettronica e multifunzionale della precedente generazione.

Nel 1984 fu introdotta la 645, reflex medio formato (6×4.5 cm) motorizzata, in cui vennero importate le tecnologie introdotte con la Super A anche nel medio formato. Intanto i tempi divennero maturi per la diffusione delle reflex autofocus sul mercato, e nel 1987 PENTAX introdusse la prima reflex della nuova serie SF con motore AF integrato nel corpo fotocamera: la SFX. Questo modello si distingue anche per essere il primo ad incorporare un flash, un’altra soluzione tecnica PENTAX presto adottata da tutti i concorrenti. Per sfruttare il motore interno, sono introdotti i nuovi obiettivi autofocus, denominati serie F, appositamente progettati. Gli obiettivi includono un sistema elettronico ed un contatto per lo scambio di dati digitali con la fotocamera e la trasmissione meccanica della messa a fuoco gestita dalla fotocamera.

Con la reflex semiprofessionale Z-1, nel 1991 nasce una nuova generazione di fotocamere e obiettivi PENTAX. Questa fotocamera dal design più massiccio e morbido, si distingue per l’otturatore che arriva all’ottomillesimo di secondo e il sincro flash a 1/250. L’evoluzione dell’elettronica coinvolge anche il software, permettendo una molteplicità di programmi di scatto e di esposizione e un notevole ampliamento delle funzioni elettroniche nonché delle relative indicazioni nel mirino. I nuovi obiettivi serie FA presentano la novità del Power Zoom (zoomata motorizzata) e un’elettronica ancora più evoluta, che comunica alla fotocamera anche la distanza di messa a fuoco, permettendo l’evoluzione dei programmi di scatto. Questa informazione può essere utile anche per capire il tipo di situazione e quindi regolare meglio l’esposizione a luce ambiente, ma soprattutto per dosare il flash. La Z1 è l’ammiraglia della serie Z che ripartirà tra i modelli di fascia inferiore solo alcune delle potenzialità del modello di punta di indirizzo professionale. Nel 1995 PENTAX torna ai suoi concetti originali, con una serie di reflex AF più compatte ed intuitive, con un design classicheggiante, denominata MZ, ad indicare l’unione tra la filosofia della serie “Miniature” con le tecnologie della serie Z. Il primo modello è la MZ-5, da molti vista come una reinterpretazione moderna della Spotmatic o della MX. È la prima reflex autofocus utilizzabile senza consultare il manuale da parte di chiunque abbia usato una fotocamera classica. Spicca l’utilizzo di una ghiera dei tempi e della compensazione dell’esposizione, soluzione oramai abbandonata, per design e per contenimento dei costi, dalle ultime generazioni di fotocamere, spiccatamente elettroniche. Anche per la serie MZ vengono introdotte nuove ottiche zoom FA più leggere rispetto ai corrispettivi della serie F.

Nel 1997 fu presentata la versione 645N, prima reflex medio formato autofocus. Sempre nel 1997, viene presentato il primo obiettivo della nuova serie di ottiche ultracompatte denominata Limited: un 43mm f/1,9 extrapiatto (pancake) che presenta la vera focale ideale, come perfetta diagonale del fotogramma 24x36mm. Questa serie, ultracompatta, offre anche una qualità costruttiva preclusa alle produzioni del tempo, orientate tutte alla comune e più economica plastica, e strizza l’occhio alle più professionali realizzazioni di ottiche di massimo livello. La qualità ottica è altrettanto elevata e ricercata.

Nel 2000 PENTAX dimostra ancora una volta la propria capacità di innovazione tecnologica, presentando la prima reflex digitale a pieno formato 24x36mm, con l’allora straordinaria risoluzione di 6 megapixel, più che doppia rispetto alla concorrenza dell’epoca. Si tratta del prototipo MR-52, ufficiosamente denominata MZ-D e in seguito nota anche come K-1. Purtroppo alcuni problemi di eccessivo consumo da parte del sensore fornito da terzi, unito ad un costo molto elevato e difficilmente proponibile sul mercato, consigliano di rinunciare all’affascinante e pionieristico progetto di lancio di una reflex digitale professionale Per non vanificare l’enorme lavoro sul corpo macchina, Pentax riesce a riconvertire il prototipo di digitale in una macchina analogica, la MZS, che ad oggi risulta una delle reflex a pellicola 35mm più evolute mai prodotte, ad un prezzo tuttavia proporzionato.

Pentax K10D
Nel 2003 la Pentax commercializzò la sua prima SLR Digitale con il nome *ist D, che usava un sensore CCD da 6 megapixel. Fedele alla sua tradizione la linea reflex digitale Pentax ha mantenuto la compatibilità con le lenti dotate di attacco tipo K e tramite anello adattatore con le ottiche con attacco a vite (M42) e con gli obiettivi dei sistemi 645 e 67.
Nel 2005 fu annunciato un accordo di collaborazione tecnica con la Samsung Techwin. In base all’accordo, Samsung forniva componenti elettronici a Pentax e Pentax forniva tecnologie e prodotti (reflex e obiettivi) a Samsung.
Nell’autunno del 2006 è stata commercializzata la K10D, DSLR da 10.2Mp effettivi,

tropicalizzata (protezione da acqua e polvere) e dotata di un dispositivo antivibrazione interno al corpo macchina che, a differenza delle DSLR Canon o Nikon, agisce direttamente sul sensore CCD e non sull’obiettivo. La K10D è inoltre predisposta per l’utilizzo di obiettivi con messa a fuoco tramite motore ad ultrasuoni (SDM). Nel 2007 la Pentax è stata impegnata solo in una serie di migliorie dei modelli già esistenti, con la K10D Grand Prix e la K100D Super mentre nel 2008 si è passati alla commercializzazione dei modelli successivi: l’ammiraglia K20D e la entry-level K200D. È del 2009 la presentazione della coppia K-7 e K-x, due reflex caratterizzate da dimensioni particolarmente compatte. La K-7 si fa notare per la silenziosità dello scatto,mentre la K-x spicca per la notevolissima resa (basso rumore e ampia gamma dinamica) alle alte sensibilità ISO [2]. Nel 2010, tra la K-x e la K-7 viene presentata la K-r, mentre la posizione di top di gamma del marchio viene occupata dalla K-5, molto apprezzata tra le fotocamere dotate di sensori APS-C[3]. Nel mese di dicembre 2010 è stata commercializzata anche in Europa la reflex di medio formato Pentax 645D da 40 megapixel con sensore CCD di formato 44x33mm, precedentemente disponibile solo sul mercato giapponese. Alla fine del 2013 Pentax presenta la K-3, dotata di sensore apsc da 24 megapixel, la migliore reflex della sua categoria [4]. Con la K3 Pentax si ripropone ancora come innovatrice nel mondo della fotografia introducendo l’inedita caratteristica della simulazione del filtro antialiasing tramite la vibrazione del sensore.
Dopo la K-3 è il turno della K-3 II che riprende molte delle funzionalità della precedente ma con qualche miglioria in più. Adesso, infatti, è possibile creare una versione ancora più nitida dell’immagine sfruttando sempre il movimento del sensore. Questa funzionalità si chiama Pixelshift Resolution. La macchina scatta quattro foto spostando il sensore di un singolo pixel in alto, in basso, a destra e sinistra combinandole in un’unica e più definita immagine. Oltre al Pixelshift Resolution, la nuova ammiraglia APS-C monta anche l’astrotracer ed il GPS di serie[5].

Nel 2016, Pentax annuncia la produzione della nuova entry level k-70 che riprende molte funzioni della sorella maggiore. Troviamo infatti il già citato Pixelshift Resolution, la tropicalizzazione e lo schermo basculante, oltre al pentaprisma e alla doppia ghiera dei comandi[6].

Sempre nel 2016 viene commercializzata la prima reflex digitale full frame che riprende il nome del primo esperimento digitale del 2000 non riuscito: K-1. Tra le innovazioni troviamo dei led guida che aiutano a cambiare le ottiche al buio o a posizionare il corpo macchina su di un treppiede

Proprietà
Nell’ottobre 2007 viene annunciata la fusione con la Hoya Corporation, uno dei principali produttori al mondo, insieme alla tedesca Schott AG, di vetri speciali ed ottici, già presente nel mercato fotografico con i marchi: Hoya (filtri), Tokina (ottiche universali 35mm) e Kenko (moltiplicatori di focale). Tale fusione fa seguito ad alcuni accordi attivi da circa due anni per lo scambio tra le due ditte dei design ottici. Il 31 marzo 2008 Pentax Corporation cessa ufficialmente di esistere come azienda indipendente, confluendo in Hoya Corporation (della quale costituisce la divisione imaging).

Il 1o luglio 2011, con un comunicato congiunto, Hoya ha annunciato la cessione alla Ricoh di

tutti gli asset a marchio Pentax relativi alla produzione di fotocamere, ottiche e accessori, videocamere di sorveglianza, binocoli[8]. La cessione, che secondo il quotidiano giapponese Nikkei ha un valore di circa 10 miliardi di yen (circa 85 milioni di euro)[9], si concluderà ed avrà quindi effetto dal mese di ottobre 2011[10].

Honeywell Pentax H3v
La Asahi esportò la propria produzione negli Stati Uniti sin dagli anni cinquanta ma questi vennero marchiati dall’importatore Honeywell come Heiland Pentax o Honeywell Pentax sino alla metà degli anni settanta. Solo successivamente la marca Pentax Corporation venne impressa negli USA e comunque diversi modelli assunsero una nomenclatura distinta per il mercato nord-americano (serie ZX, serie PZ). Solo pochi modelli vennero invece prodotti in esclusiva per il Giappone, fra tutti la Z-20p, alcune versioni speciali di LX, 645 e MZ-3. In Italia in occasione dei trentacinque anni della collaborazione con la API (allora distributore ufficiale Pentax nel paese) venne prodotta nel 1994 una versione speciale della K1000 (la K1000 Anniversary). Fra le versioni dimostrative meritano inoltre menzione la SFX, la Z1 e la Z10 con calotta trasparente e le famose LX e ME-F.

 

PARTE 2

Pentax PC-313

Il PC-313 è una macchina fotografica del 1991, è un punto di messa a fuoco automatico da 35 mm e scatta una fotocamera compatta di Pentax . Fa parte della serie di PC Pentax di fotocamere.
Usa un obiettivo da 3 mm 35 mm, f / 4,5. La messa a fuoco è automatica utilizzando un sistema di tipo a infrarossi. La distanza minima di messa a fuoco è 1,2 m. Il flash incorporato ha una GN di 10 con un tempo di ricarica di 6 secondi. Il trasporto del film è motorizzato e fa avanzare automaticamente il film. È compatibile con film 100, 200 e 400 ISO. L’alimentazione proviene da due batterie AA.

Pentax PC-313 (1991)